TheAlbero – Storie che riconnettono
“Storie che riconnettono” può essere considerata una metodologia in fieri, nata durante la pandemia, con radici più lontane, nel terreno delle esperienze di laboratori, percorsi e formazioni, in presenza, degli ultimi dieci anni.
L’orizzonte di “Storie che riconnettono” è la riconnessione con sé, con gli altri e con la Vita/Natura. E’ una pratica di creatività e consapevolezza, di ascolto di sé e dell’altro, di ricomposizione di senso, di educazione alla pace attiva.
Le metodologie principali che nutrono “Storie che riconnettono” sono: Estetica dell’Oppress@ (Augusto Boal), Teoria U (Otto Sharmer) e Social Presencing Theatre (Arawana Hayashi), Focusing (Eugene Gendlin), Storytelling partecipativo (TheAlbero), Lavoro-che-riconnette (Joanna Macy).
I contesti in cui è stata portata sono i contesti in cui, in qualche modo, mi sento “chiamata” a lavorare: gruppi interculturali, gruppi di persone che lavorano in ambito sociale, educativo, e della salute, cerchi di donne.
“Storie che riconnettono” può essere considerato un ramo del “Teatro che riconnette”, un metodo che, da questo inverno del 2023, intenzionalmente, io e Uri Noy Meir stiamo portando a una sistematizzazione, esplicitando quale mappa usiamo nel territorio che ha a che fare con la riconnessione con sé, gli altri e la Natura.
Raccolta di testi scelti dal blog “TheAlbero” che raccontano le esperienze di “Storie che riconnettono” + appendice.
Testi, se non specificato altrimenti: Ilaria Olimpico
INDICE
Storie che riconnettono: Semi-nari e raccolta
Storie che riconnettono: vedere con occhi nuovi
Storie che riconnettono::condivisione di cosa è successo e cosa emerge
– gratitudine e orizzonti
Storie che riconnettono: cerchio di donne – Testimonianze
Dove non riesco a vedere io, portamici tu!
Stories that reconnect – what’s next?
Stories that reconnect & conflict transformation
Reconnecting with teenagers
Stories That Reconnect – Mapping a Social Arts process
Appendice
Storie che riconnettono: Semi-nari e raccolta
Posted on June 18, 2021 by TheAlbero
Il metodo in continua evoluzione “Storie che riconnettono” è stato condiviso, questa primavera (2021), in tre seminari, due in italiano e uno in inglese per studenti e studentesse internazionali.
Di seguito, riporto in italiano l’esperienza con i gruppi in italiano.
Qui (pag.34), in inglese, riporto l’esperienza internazionale che era inserita nella cornice della Summer school “International Social Work: Violence Prevention and Conflict Transformation” (Università di Scienze Sociali di Würzburg in Germania e l’Università Libanese Americana di Beirut).
Seminario all’interno del Festival online MITOS
Questo seminario di appena due ore è stato un assaggio di ri-connessione, consapevolezza e conoscenza. Abbiamo integrato diversi linguaggi (corporeo, poetico scritto, visuale, narrativo orale) seguendo e adattando la mappa della Teoria U: co-iniziare, co-sentire, presencing, co-creare, co-evolvere.
Nei feedback è stata apprezzata la continua risonanza tra persone, tra personale e collettivo, tra inconscio e consapevole, tra simbolico e razionale, tra storie personali e collettive, tra linguaggi diversi.
Seminario di maggio con il gruppo di donne
Ho proposto questo seminario su invito di un gruppo di donne che aveva già seguito i lab “Storie che riconnettono” e la mia intenzione era di aprire uno spazio di ricerca, condividere il meta-livello del laboratorio e chiarire per me e per chi partecipava le cornici e il setting; svelare per me e per chi partecipava le possibilità che ne scaturivano.
Nella prima sessione abbiamo esplorato: Il setting e il ruolo di chi facilita, Lo spazio e il contenitore, La relazione e il gruppo. Sempre siamo partite dall’esperienza e su questa abbiamo poi poggiato le riflessioni e i rimandi alla cornice e al meta-livello.
“Ho apprezzato la generosità dei contenuti che hai condiviso e l’intreccio armonico tra esperienza, riflessione e formazione”. (dal feedback finale di A.T.)
La nostra seconda sessione è stata dedicata all’embodiment, al corpo come fonte di saggezza. Abbiamo esplorato le nostre sfide, ispirandoci all’esercizio dello stuck del Social Presencing Theater. Questa è la poesia di risonanza dalla trasformazione (shift) del blocco di A. T.:
Tendo l’arco per colpire il bersaglio che non vedo.
Rilascio le tensioni del mio corpo.
Mollo la presa.
Vedo.
La nostra terza sessione ha esplorato la Narrazione e la pluralità di linguaggi: Storie in cerchio – Polisemia delle immagini – Risonanze come pratiche di sense making – Cenni sulla pratica dello storytelling partecipativo tra autobiografia e comunità, tra processo personale creativo e pratica collettiva di ascolto ed educazione alla pace.
Tra i feedback di questa sessione, mi ha risuonato molto questo: “è stato un allenamento ad accettarsi e scoprire nuovi punti di vista; un tempo per ascoltarsi senza frenesia del dover dire, fare; una sensazione di libertà”.
La quarta e ultima sessione è stata emozionante, di celebrazione e di valutazione partecipata. Alle domande “cosa porti con te?” e “cosa hai apprezzato?” tra le risposte c’erano:
Avere più consapevolezza del contenitore e della sua importanza – Legame tra corpo, mente e cuore – Percorsi di questo tipo creano legami forti – Coscienza del ruolo del setting, che il setting ci proteggeva – Poter essere come sono – Coinvolgere emozione e corpo e non solo livello cognitivo per un apprendimento che rimane – La tua grande sensibilità di restare sulla linea del processo pur essendone il battito cardiaco.
Questo ultimo feedback mi restituisce con commozione il mio particolare stare-facilitare, la mia scelta di partecipare nelle mie stesse proposte, sia per essere in una relazione orizzontale per cui, laddove invito a condividere, sono io stessa a mettermi in gioco, sia per fare a mo’ di esempio ma senza pretese, in modo autentico, sia per sentire nel momento cosa emerge dal processo, per esserne al tempo stesso dentro e fuori, al cuore e ai margini.
Grazie mille a questo gruppo per aver aperto il cuore, per aver attivato il corpo anche a distanza, per aver condiviso riflessioni, apprendimenti, consapevolezze, poesie, immaginari.
Storie che riconnettono: vedere con occhi nuovi
Posted on March 14, 2021 by TheAlbero
Sulla scia dei laboratori “Storie che riconnettono” che si sono succeduti dall’inizio del primo lockdown è emersa l’intenzione di ascoltare e vedere le sfide del nostro tempo, attraverso immagini, felt sense, movimento e suoni.
E’ emersa l’intenzione di narrare storie che riconnettono per vedere con occhi nuovi…
Storie sono
le narrazioni tessute collettivamente in un esercizio continuo di
accoglienza fiduciosa e negoziazione creativa,
sorpresa e incanto, ascolto e improvvisazione,
attesa emozionata e parola agita.
Storie sono
le narrazioni del nostro vissuto del momento,
che, sentite nel corpo, ascoltate e condivise,
si inseriscono in una cornice-Storia più ampia,
si fanno più sopportabili,
schiudono sensi e apprendimenti inattesi,
aprono spazi di possibilità inesplorate.
Storie sono
le narrazioni del nostro corpo, dei nostri corpi in-relazione,
corpi liberati e
liberi di restituirci, in una sensazione significativa, indefinita e pregnante,
una conoscenza altra di noi stesse e del mondo.
Storie sono
le immagini e i suoni che ci arrivano dall’esterno,
che hanno eco all’interno.
Storie sono
le immagini e i suoni di cui ci riappropriamo
per dare voce, spazio,
alle parti marginalizzate di noi, del Mondo.
Storie sono
le narrazioni sul tempo che viviamo,
ancorate a un sentire più attento,
richiamando una “presenza” compassionevole e potente.
E così, l’immagine del bianco
dell’incertezza del nostro tempo,
può diventare, nella storia da noi narrata,
il bianco del possibile che prende vita dal vuoto.
E così, la tempesta non voluta dello sconvolgimento
della nostra “normalità”,
può diventare, nella storia da noi narrata,
la tempesta che ci fa tornare
insieme,
adese alla roccia madre,
attente al battito del nostro cuore.
Uno dei gruppi del laboratorio “Storie che riconnettono – Vedere con occhi nuovi” ha espresso il desiderio di condividere pubblicamente i piccoli testi scritti durante il processo. I testi sono poesie di risonanza e di sense-making di ciò che abbiamo sentito, visto, agito durante gli incontri. I testi, per scelta del gruppo, si succedono in una tessitura multivocale.
Testo multivocale di: Andreina Brogani, Monica Di Bernardo, Francesca Molinari, Ilaria Olimpico, Rita Parenti, Brunetta Schiaffonati, Agnese Talegalli.
Sempre in piedi,
ma roteando su un punto caro.
Sciogliere lacrime e sorrisi.
Nuotare nel caos.
E… incontrare.
Non aver paura di ciò che avverrà,
appoggiati alla solida roccia,
percepiscine il calore.
Osserva
Ascolta
Senti
…andare nella profondità della tua anima
è come andare nella profondità del mondo.
La dolcissima morte era giunta
Senza paura
Senza dolore
Accompagnata
Dall’amore delle donne.
La porta che si apre
mi dona calore e mi fa toccare
il cielo con un dito.
Avviluppata
nelle oscure tenebre
uragani scroscianti
venti in tempesta
poi tutto si capovolge
e ritorna la capacità
di vivere ancora.
Arriva la tempesta
anche il cuore è sconvolto
ma il dono inaspettato
riporta la pace e l’Armonia.
Chiudo gli occhi
Ascolto
Vortice di vento intorno
Incollata alla montagna
tremo,
tesa.
Attendo
Ascolto
il calore della roccia
Ritrovo la calma
in viaggio
dentro me stessa
Possibilità di svitarsi da posizioni non scelte
e guardare oltre.
Guardare in alto.
Nella pancia della nostra immaginazione
trovo un rifugio sicuro e una risposta sorprendente.
Risputata nella realta’ in tumulto,
con magiche corde, nate da corna dorate,
mi ancoro al battito del mio cuore.
E i miei occhi di bambina sanno
che tutte le tempeste …
passano.
Ho visto fiori solitari,
anche se erano in gregge,
chiudere il capino
aspettando un momento possibile.
Ho sentito che dalla nebbia
si poteva emergere
cominciando da uno sguardo
che sa dove vuole andare.
Ho fatto una piega,
tante pieghe nelle mie ossa
ma con stupore mi sono accorta
che nulla si è completamente spezzato.
Cammino, cammino
non mi è dato il tempo di guardare le stelle
sudo
a volte mi vergogno.
Mi sorreggo con i miei due piedi
e sento di poter continuare a camminare.
Così attraverso
sofferti cambiamenti
approda ad una
energetica consapevolezza.
Ho voglia di volare
ma il mio corpo
non lo sa fare
e il blocco…è lì.
E allora restiamo in contatto
io e te prato morbido
che nascondi una madre.
Mi lascio quasi accecare da tanta
bellissima chiara luce.
Voglio ascoltare :’Restiamo serene…’
Aspettando un momento possibile.
Sono ri-scesa..Discesa.”
Dove sono le mie braccia, le mie mani?
Mi accorgo che da tempo non stringo persone amate,
che non accarezzo dolci visi.
Infatti trattengo il fiato per non far parlare la mia rabbia.
Fortunatamente non si può trattenere a lungo
e quando ti sembra di non potercela fare
ecco che esce un gran respiro.
Un respiro che avvolge, accarezza,
riscalda anche il più glaciale dei paesaggi glaciali
e in quel calore puoi estenderti e ritrovarti
puoi danzare
puoi persino volare.
Una scatola fuori e un grosso buco vuoto dentro.
Un giorno decise di bussare sul coperchio della scatola. Aveva paura ma lo fece.
Poggiò l’orecchio. Non sentiva nulla.
Chiamò: “c’è nessun@ là fuori?”. Nessun@
Allora… sollevò leggermente il coperchio.
Era bastato quel movimento impercettibile che un alito di vento entrò leggero, dandole una dolce carezza sul viso.
Il buco dentro si colmò. Fece un profondo respiro e… butto giù il coperchio.
Sono bloccata
ho la testa calda
un calore invade la mia nuca
il petto gelido chiede protezione
non vedo nulla. Buio e solitudine
Ma sento il gioco dell’acqua di un ruscello
che corre via saltellando sopra i sassi.
Si apre il petto alla luce del sole
e un respiro fresco mi porta la vita.
Ritornano voci antiche e familiari
si apre l’abbraccio a tenere insieme
tutto.
Ti ascolto corpo,
gli occhi rivolti dentro
tesa, chiusa a morsa, proteggo.
Ma ho voglia di sciogliermi, aprirmi
lasciar andare.
Potrà essere abbastanza
offrire ciò che siamo qui e ora?
Potrà essere abbastanza
la mia Presenza accogliente e incondizionata?
Potrà essere abbastanza
essere testimone compassionevole e amorevole?
Potrà essere abbastanza
tenerci compagnia con nenie, storie e ninne nanne?
Potrà essere abbastanza
aspettare, adese alla roccia,
che la tempesta
passi?
Potrà essere abbastanza
prepararci per poi poterci sedere
al tavolo della negoziazione
con energetica consapevolezza?
Sì, è abbastanza per ora, qui e ora.
Storie che riconnettono: condivisione di cosa è successo e cosa emerge – gratitudine e orizzonti
Posted on December 10, 2020 by TheAlbero
Questo che segue è un racconto di cosa è successo e cosa emerge dal mio lavoro durante la pandemia: è un segno di gratitudine per tutte le persone che hanno permesso e permetteranno la creazione di spazi di ascolto, profondità, consapevolezza e connessione; è un lancio di semi per possibilità di incontrarci, progettare insieme, condividere pratiche e sogni per il Futuro.
Dall’inizio del lockdown di marzo, offro online uno spazio di Storie che Riconnettono: storie che ci riportano a casa nel nostro corpo, storie che ci riconnettono tra di noi, con il Mondo e con la Vita, storie narrate con voce, suono, immagine, scrittura, segno grafico e movimento.
Sono interessata a continuare l’esplorazione che cerca le corrispondenze tra diversi linguaggi: immagini, narrazione, movimento, poesia. Così come sono interessata alla dimensione di conoscenza e di consapevolezza – di noi stesse/i e della realtà sociale – che questi linguaggi facilitano.
La prima edizione di “Storie che riconnettono” era una sperimentazione online, in cui persone da diverse parti d’Italia hanno immaginato, co-creato storie e condiviso insieme, soprattutto attraverso immagini e parole. La prima edizione si è conclusa con l’immagine di una cicogna con un uovo dei desideri. Il desiderio che il gruppo aveva espresso era: “continuare a raccontare”. E così è stato. Le partecipanti hanno apprezzato: “La magia della parola, del racconto che unisce, che annulla le distanze, anche tra chi non si conosce“; “La forza dei racconti che ti fanno ritrovare in un attimo…. dove tutto è possibile“; “La narrazione collettiva è una forte terapia della bellezza e della rigenerazione“.
“Un filo che risale dal cuore alla bocca racconta ciò che ti tocca” (risonanza poetica dalla prima edizione di “Storie che riconnettono”).
Dalla sperimentazione si è formato un gruppo di donne interessate a continuare a riconnettersi attraverso le storie. E’ emersa così la versione “Storie che riconnettono – cerchio di donne” (qui a pag. 17 le testimonianze di chi ha partecipato). Finora, si sono svolte 2 edizioni, in cui abbiamo attraversato i passaggi femminili attraverso storie, immagini e movimento.
Abbiamo sperimentato un tenero “Storie che riconnettono intergenerazionale” con dolcissime bambine e le loro mamme e zie.
Sono stata molto, molto felice di poter svolgere grazie ad Agnese Talegalli e la Coop Il Cerchio, il lab Storie che riconnettono pluriculturale,(a pag.19 potete trovare il nostro racconto di come è andata). Se lavorate in contesti multi-inter-trans-culturali, sono molto interessata a co-disegnare possibili progetti (come forse saprete, collaboro ormai da più di 5 anni con ANCI UMBRIA, come facilitatrice in progetti di inclusione con cittadine-i di Paesi Terzi. In questo momento, facilito con Mara Moriconi il lab sulla valorizzazione delle competenze attraverso un lab di storytelling).
In estate, Storie che riconnettono è diventato un corso di Arti Sociali inserito nel Summer Training, organizzato da ImaginAction, insieme ai corsi tenuti da Uri Noy Meir e Angelo Miramonti. E’ stata un’esperienza arricchita dal feedback del mio mentore Hector Aristizabal.
Il 26 Settembre, ho potuto offrire Storie che riconnettono nel Playground per la comunità internazionale di praticanti di Teatro dell’Oppresso, ricevendo feedback e avendo la grande opportunità di sentirmi parte di una rete più grande. Grazie a Francesco Argenio Benaroio e tutta la comunità Playground per tenere questo spazio di sperimentazione e intervisione.
Abbiamo sperimentato un lab Storie che Riconnettono Adolescenti (qui a pag.37 il racconto dell’esperienza in inglese).
Un ringraziamento speciale alla mia famiglia ImaginAction e a Uri Noy Meir per il supporto e l’ispirazione.
Vi saluto con uno stralcio da “Guizzino”:
“Andiamo a nuotare nel sole e a vedere il mondo,” disse felice. “Non si può,” risposero i pesciolini, “i grandi tonni ci mangerebbero”. “Ma non si può vivere così nella paura,” disse Guizzino “bisogna pur inventare qualcosa” – Leo Lionni
… inventiamo, immaginiamo qualcosa insieme, per poter nuotare nel sole e Vedere il Mondo nella sua più alta potenzialità…
Storie che riconnettono: cerchio di donne – Testimonianze
Posted on September 29, 2020 by TheAlbero
Un laboratorio dedicato alle Donne per esplorare i Passaggi Femminili, attraverso le storie, le immagini e il movimento corporeo.
Testimonianze:
Ho apprezzato tantissimo le diverse storie che hanno scandito e accompagnato il percorso e mi sono lasciata trasportare in luoghi lontani. Ero lì a fianco alle protagoniste mentre quello che narravi, o che narravamo insieme, si trasformava in immagini nella mia testa... Mi ha permesso di vedere meglio e di più attraverso gli occhi delle altre. (A.B.)
Partecipazione, condivisione, supporto nei momenti bui, liberazione di spirito e di energia. (R.P.)
Ho apprezzato l’alternarsi di momenti in cui i diversi linguaggi si susseguivano. (R.P.)
Mi sono piaciute tantissimo le storie sia quelle raccontate da te sia quelle narrate insieme e ho apprezzato la possibilità del co-narrare, facendo germogliare il racconto dal terreno preparato dalle altre, così semplicemente come veniva, nutrito dalle immagini. Il corpo ha scontato il limite della lontananza fisica, del toccarsi. (A.B.)
Aver dato un’immagine, un personaggio, una scena, un movimento….ad ogni momento di passaggio della nostra vita è come avere una chiave speciale per aprire quello spaccato di noi ogni volta. (C.R.)
Sento che sono entrata in connessione con donne diverse e nello stesso momento, cosa rara nella vita di tutti i giorni. Ho rafforzato il mio femminile grazie al confronto con donne più grandi. (C.C.)
Porto vicinanza, ascolto. Porto anche le storie che anche a distanza continuano a manifestarsi così, quando vogliono. (A.T.)
Tanta bellezza! Tanta ricchezza! Tanta pienezza! Grazie con tutto il cuore! (M.P.)
Ho apprezzato molto anche la tua grande capacità di stare dentro e fuori dal gruppo con estrema fluidità. Mi ha fatto sentire “mi posso affidare”, “mi posso confidare”. (C.R.)
La consapevolezza che l’età è, di per sé, un arricchimento e che siamo belle!
La facilitazione … portata avanti con molta delicatezza. (F.B.)
Mi sento più radicata alla terra, forse anche grazie alla condivisione con altre donne. (C.R.)
Dove non riesco a vedere io, portamici tu!
Posted on June 30, 2020 by TheAlbero
Appunti e spunti a due voci dall’esperienza:
“Storie che riconnettono” con rifugiati del progetto Siproimi di Spoleto e altri invitati
a cura di Agnese Talegalli e Ilaria Olimpico
(disegno di Agnese)
Chi siamo
Agnese:
Sono cinque anni che lavoro come operatrice in un progetto di accoglienza per rifugiati, in una piccola città italiana.
Come facilitare il processo di integrazione è sempre stato un argomento su cui riflettere e complesso da portare avanti, perché ricco di sfaccettature. Ci sono dei tempi da considerare nella persona migrante che si trova catapultata in un nuovo contesto, che hanno bisogno di comprensione e accettazione. Queste persone abituate ad essere in viaggio, probabilmente, vivranno il luogo in cui si trovano, come una delle molteplici tappe da attraversare. Poi ci sono dei tempi della comunità che accoglie, sia come individui che come organizzazioni. Ci sono abitudini culturali che si incontrano e che a volte nella novità dell’incontro, possono far emergere qualche incomprensione e, di conseguenza, portare a vissuti di tensione e di non inclusione.
Il bagaglio che questi giovani uomini e donne (anche se, nel progetto dove lavoro, ci sono solo uomini accolti) portano con sé, è ricco di sogni, ferite, aspettative, frustrazioni, speranze, paure, fatica, coraggio, forza, riscatto. Spesso sono ventenni e tutti hanno persone care a cui pensare, famiglie che hanno aspettative su di loro. Questi legami, effettivamente, sono relazioni universali, che appartengono a tutti noi, uomini e donne, eppure a volte, è così difficile riconoscersi gli uni con gli altri.
Così riflettendo e grazie a Ilaria che mi ha fatto conoscere un nuovo modo di stare insieme, ho pensato che incontri di ascolto e narrazione potessero essere una dolce medicina per anime in viaggio.
Ilaria è la cantastorie e facilitatrice degli incontri che, con dolcezza, pazienza, ascolto, entusiasmo, calore e abilità di reinventare, ha nutrito i fiori che erano pronti a sbocciare.
Oltre a cosa si fa, il come è elemento determinante.
Ilaria:
Assolutamente il “come” è determinante. Scriveva F. Leboyer: “Senza Amore, sarete solamente abili”. Ritrovo Agnese a ogni incontro come compagna di viaggio ideale, accorgendomi di condividere le stesse “cornici”, le stesse “premesse” e così, possiamo fidarci del processo, talvolta entusiaste, talvolta stanche, talvolta fiduciose, talvolte pensose, ma sempre sorprese.
Sono definita, a seconda dei lavori e compiti che svolgo: facilitatrice, educatrice, formatrice, conduttrice, raccontastorie, operatrice, tutor… Forse il termine che mi risuona di più è “facilitatrice”. Che si tratti di facilitare un processo di costruzione di un gruppo, di apprendimento, di formazione, crescita personale o un cerchio di storie, quello che sento di fare è “facilitare”, accompagnare il gruppo e custodire il processo che emerge.
Ho conosciuto Agnese durante un progetto di capacity building nel Sistema di Accoglienza. Agnese ha poi partecipato agli incontri online che ho proposto durante il lockdown “Storie che Riconnettono”. Quando mi ha proposto di fare gli incontri con i rifugiati del progetto SIPROIMI di Spoleto nel quale lavora, ero emozionata e grata di questa possibilità.
Iniziamo!
Agnese:
Partecipando agli incontri con grande curiosità posso provare a uscire dal ruolo di operatrice e dal pensiero di dover fare qualcosa, che sia dare risposte, o aiutare in pratiche burocratiche o ammettere di non sapere cosa dire o come aiutare. Posso ascoltare per il gusto di farlo e forse vedere meglio e posso contribuire con la mia immaginazione a una storia condivisa. Nel primo incontro ho sentito proprio questa sensazione, finalmente tutti in cerchio!
Ilaria:
Le espressioni “Posso uscire dal ruolo di operatrice” e “finalmente tutti in cerchio” aprono un baule tanto grande quanto grande e’ la sensazione di apertura del petto e del respiro che immagino accompagni queste frasi.
Dal ruolo alla persona, da un’organizzazione piramidale gerarchica a un’organizzazione più circolare… tutto questo mi fa pensare a Laloux.
Frederic Laloux, autore del libro “Reinventare le organizzazioni”, consulente di leader di grandi aziende che vogliono una trasformazione evolutiva del management, in uno dei suoi video, delinea tre principi che accomunano un nuovo paradigma organizzativo: self management, totalità/globalità della persona, proposito evolutivo. Mi chiedo come cambierebbe il “sistema di accoglienza” se introducesse questi principi. Una rivoluzione.
Self Management: autonomia per chi opera e lavora ma anche e soprattutto per i cosiddetti “beneficiari”, un’autonomia che presuppone fiducia e coraggio e promuove empowerment e inter-dipendenza. Totalità/globalità della persona: anche questo principio da adottare in pieno, sia per chi opera e lavora, sia per i cosiddetti “beneficiari”, cosa e come cambia la relazione se non siamo più solo “ruoli” ma siamo persone nella nostra interezza? Proposito evolutivo: pensare all’organizzazione come a un organismo il cui proposito autentico e’ l’evoluzione; cosa succederebbe se “il sistema di accoglienza” uscisse dal paradigma per cui pochi decidono qual e’ la visione (ammesso che ce l’abbiano) da seguire e potesse riuscire a “vedere e sentire se stesso” (per usare un’espressione della Teoria U)come premessa per un cambiamento profondo?
Certo, pochi incontri in cerchio non aspirano a tanto come risultato, ma sicuramente hanno intenzioni forti e profonde. Agnese e poi l’altra operatrice, che hanno partecipato agli incontri, possono sperimentare le potenzialità di incontrarsi – operatrici e “beneficiari” – in uno spazio altro, in cui si incontrano non i ruoli, ma le persone. E chissà se con cicli di incontri più lunghi non si possa arrivare a immaginare altri sistemi di accoglienza possibili… “l’immaginazione e’ il presupposto imprescindibile per aprire le porte ad altri mondi possibili”.
Un’altra intenzione forte e profonda che nutre questo ciclo di incontri e’ far incontrare universi che solitamente non si incontrano.
Abbiamo voluto un gruppo misto. Siamo assolutamente convinte dell’enorme valore di invitare persone esterne italiane, oltre alle operatrici e operatori. La dimensione dell’incontro assume una qualità anche politica, intesa come la dimensione che ha a che fare con il potere, con la cultura, con la società e la sua evoluzione. Abbiamo invitato persone che in qualche modo conosciamo già, sono persone che talvolta lavorano nel “sociale”. Abbiamo scelto di mantenere uno spazio protetto. Sarebbe interessante invitare persone che non hanno mai modo di incontrare “il rifugiato”, “il richiedente asilo”, e permettere questo incontro con “un rifugiato”, “un richiedente asilo”, ossia con la persona che e’ dietro e oltre queste categorie, con un nome, un carattere, un modo di immaginare, desideri e paure proprie.
Altra peculiarità delle persone esterne invitate e’ stata la varietà di collocazione geografica: oltre persone da Spoleto, c’erano R.P. dal nord Italia e M.T., italiana ma emigrata a Berlino. Questa casualità offre, per chi la coglie, l’opportunità di allargare per un attimo lo sguardo: migrante, immigrato, emigrato… alcune etichette cadono, si aprono degli squarci di complessità, si intravedono possibilità di ri-conoscimento, possono nascere riflessioni su privilegi e stigmi.
Incontri: 17 e 20 aprile 2020
Partecipanti: K.M.-Mali, J.M.-Gambia, T.M.-Gambia, F.B.-Senegal, R.N.D.-Cameroun, E.-Italia, io e Ilaria.
Ilaria:
Il primo incontro è un po’ come un primo appuntamento tra innamorati. E’ una danza da accordare per non pestarsi i piedi, è una ricerca delle caratteristiche dell’altro, e’ un’attenzione particolare a ciò che “io faccio e sento”.
Agnese:
Nel gruppo ricordo J.M. che, pur sorridendo sin da subito e parlando abbastanza bene l’italiano (sta frequentando la scuola media al Cpia), non riusciva a rispondere alle domande di Ilaria quando lei gli chiedeva di continuare una parte della storia o gli chiedeva cosa vedesse guardando una particolare immagine. Lui continuava a rispondere: “non lo so, non sono bravo in queste cose”. Finché, con pazienza e delicatezza da parte della “facilitatrice” Ilaria, arriva a poter immaginare due uomini trasportati da uno stormo di uccelli da un posto a un altro. Ed ecco che questa diventa l’immagine che condivide alla fine dell’incontro come momento che gli era rimasto impresso. Ho visto nel suo modo di parlare e nei suoi occhi quello che aveva visto e sembrava contento. Aggiunge che essere uniti era migliore che essere da soli.
Ricordo anche la risposta di K.M. alla fine del primo incontro; alla domanda “cosa vi è rimasto della storia?”, risponde: “tante cose…” lasciando un campo aperto molto spazioso. Chissà cosa intendesse…
Ilaria:
Non importa da dove veniamo, quale sia la nostra lingua o la nostra religione, abbiamo similarità e differenze oltre i confini geografico-culturali. Ci sono persone che hanno più familiarità con un linguaggio visuale, altre con un linguaggio musicale, altre con un linguaggio verbale, altre ancora con un linguaggio corporeo. Abbiamo tutti e tutte la capacità umana universale di immaginare. E purtroppo, talvolta, la perdiamo – non importano neanche in questo caso i confini geografico-culturali – perché a scuola ci dicono che c’è 1 e 1 sola risposta esatta, o perché ci hanno detto che immaginare e’ solo per bambini…
Recuperare l’immaginazione è per me recuperare la capacità di andare oltre ciò che si vede. E questo nella vita può essere una grande risorsa in tempi che necessitano di innovazione e creatività. Immaginare insieme e’ per me educarci all’incontro creativo.
Incontri: 22 e 24 aprile 2020
Partecipanti: O.B.D.-Eritrea, C.A.-Mali, E.E.C.-Camerun, G.Z.-Eritrea, A.-Italia, S.-io e Ilaria.
Agnese:
Nella storia raccontata con il gruppo abbiamo parlato di tre fratelli in cerca di una mappa nascosta in un palazzo dietro a una porta. Uno dei fratelli, il più pigro, invece di cercare la chiave della porta del palazzo nel bosco, si ferma e proprio lì arriva un uccellino che gli dice di cercare la chiave sopra ad un muro. Infatti, alzando lo sguardo, vede un muro e si avvicina, ma la chiave non c’é. Alla fine, viene trovata sul soffitto di un piccolo tetto di una minuscola casa sopra a un bellissimo fiore. Essendo il ragazzo troppo grande per entrare con la mano nella casina, si fa aiutare da un piccolo insetto che è onorato di aiutarlo. In possesso della chiave trova il palazzo e poi apre la porta dove scopre una valigia piena di soldi.
Ilaria invita tutti noi a chiederci “cosa avremmo fatto con quella valigia di soldi?”. Solo poterlo immaginare è stato un “passo verso” altre possibilità. Ognuno ha dato la sua risposta. C.A. avrebbe creato un’impresa dove far lavorare anche i suoi fratelli o persone che non hanno lavoro. Impresa di trasporti di cibo o altro.
O.B.D. era sicuro che avrebbe dato un po’ di soldi a chi non ne aveva e il resto li avrebbe usati per far stare bene la sua famiglia. S., dopo averci pensato un po’, dice che gli sarebbero serviti per poter “non fare”. Questo non “fare niente” è risultato un po’ strano per C.A. che ha voluto sapere cosa intendesse e ha ricordato che i soldi finiscono.
Io ho immaginato un eco-villaggio, è stato il primo pensiero che include il concetto di ciò che desidero, comunità e famiglia. Ilaria ha sognato una libreria grandissima dove poter anche regalare libri, dove raccontare storie… Ecco che una domanda può tirar fuori dei fiori che stavano aspettando di germogliare.
C.A. ha detto che ascoltare gli altri con le loro idee è un modo utile per orientarsi e capire.
Ilaria:
La storia era più o meno arrivata al punto in cui il più piccolo dei tre fratelli alla ricerca della mappa, riesce ad avere, grazie all’aiuto di un insetto, la piccolissima chiave che apre la stanza dove c’e’ la mappa. Il ragazzo però, come lungo tutta la storia, invece di dimenarsi e lanciarsi qua e là come i fratelli, si affida al destino e decide di riposare. Si addormenta e sogna di aprire con la piccolissima chiave la stanza e prendere la mappa. Quando chiedo di continuare la storia a D. chiedendo: quando si sveglia, il ragazzo ha la mappa in mano?”, D. risponde serio: “certo che no, era un sogno!”. Io non ho remore a far trasparire la mia sorpresa mista a delusione, perché il protagonista ce l’aveva quasi fatta e nelle storie tutto e’ possibile, quindi, perché no, conservare una mappa che si e’ presa grazie a un sogno?! Agnese fa’ segno che ha un’idea, le brillano gli occhi, avuta la parola, subito continua la storia: “certo, non ce l’aveva, ma se la ricordava!” Fantastico! Anche per Agnese era stato un colpo sapere che non era stata presa la possibilita’ magica di avere per davvero qualcosa che si prende in un sogno, ma aveva accettato e risolto creativamente il problema del protagonista e la sua/mia delusione.
Non posso rifiutare ciò che chi mi precede racconta, anche se non mi piace, posso solo andare avanti inglobando creativamente ciò che potrebbe non piacermi.
Incontri: 27 e 29 aprile 2020
Partecipanti: K.M.-Burkina Faso, D.A.S.-Somalia, S.D.-Mali, T.S.-Senegal, R.-Italia, io ed Ilaria.
Agnese:
Nuovo gruppo, nuove persone, nuove storie, nuovi orizzonti!
Questo incontro corrisponde al primo giorno di Ramadan e iniziamo leggermente dopo l’orario concordato, verso le 17.15 perchè alle 17 molti avevano la preghiera. Non avevamo pensato all’orario di preghiera. Abbiamo aspettato un po’, comprendendo l’importanza di quel momento. Come operatrice, a volte, si vive un po’ di frustrazione quando cerchi di comunicare un appuntamento, in questo caso, o un’indicazione in generale. Ci metti tutte le energie e capacità comunicative in tuo possesso e pensi che il messaggio sia arrivato e poi ti accorgi che non ha funzionato. Ti aspetti che l’altra persona se non può, o ha un problema te lo dica, ma così, spesso, non avviene. Forse perché, tra culture diverse, viviamo il tempo in modo diverso, forse perché, avendo modi di fare differenti, il senso del rispetto è diverso. Dire qualcosa di contrario o far emergere le proprie esigenze può essere vissuto come mancanza di rispetto per l’altro. Forse perché la nuova lingua a volte è una montagna da scalare e non si trovano le parole per parlare. Ma forse ci sono anche altre ragioni. Quindi, care operatrici e operatori, costruttori di ponti e mediatori inter-culturali alleniamo l’ascolto e la pazienza, perché quando ci sono incomprensioni probabilmente ci mancano dei pezzi da prendere in considerazione.
Tornando all’incontro, K. non riesce a collegarsi su zoom e tramite il telefono di D.A.S., che vive con lui, parla con D. e cercano di risolvere il problema. Attendiamo. Accogliere le difficoltà, le differenti esigenze che non sempre sono esplicite, permette allo spazio creato dal gruppo di considerare l’altro.
Ilaria:
Quando c’è da aspettare, mi viene sempre in mente il racconto di Ryszard Kapuściński. Poiché non lo ricordo precisamente, lo racconterò reinventandolo (come d’altronde faccio con le storie tradizionali!). Il protagonista sale su un autobus in un paese straniero. Aspetta. Altre persone salgono. Aspetta. Suda. Aspetta. Sbuffa. Solo lui sbuffa. Aspetta. Infastidito, chiede a che ora parte l’autobus. L’autista chiede sorpreso: “A che ora?”. “Si’ a che ora?”. “Parte quando è pieno”.
Agnese:
Tutti pronti per partire ma ho la sensazione che non tutti comprendano cosa sarà quell’incontro. A uno di loro avevo spiegato che avremmo raccontato storie, come quelle che raccontano le nonne quando sei bambino. Anche spiegare cos’è una storia non è cosa scontata. La “storia” con i richiedenti asilo e rifugiati viene associata alla storia di vita, quindi raccontare la propria vita. Nel loro processo di richiesta d’asilo hanno sentito, probabilmente, la parola “storia” molte volte, quando hanno dovuto scrivere le memorie per la preparazione all’incontro in commissione. Quando hanno dovuto raccontare la loro “storia”, con gli operatori, avvocati, anche dottori in alcuni casi, sempre per poter ottenere i documenti per stare in Italia.
Quindi partendo da questa esperienza di “storia”, far comprendere che stavamo, tutti insieme, per inventare delle storie con elementi anche fantastici, non è stato immediato. Ci presentiamo e passo passo seguiamo il flusso del gruppo che, questa volta, non porta a un racconto condiviso ma a frammenti di racconti tra domande di spiegazione per non aver capito e storie ricordate del proprio paese.
Ilaria:
Questo incontro è faticoso. Forse perché molti non parlano bene italiano, forse perché si aspettano altro. Sento di accogliere quello che c’ è: K. ha voglia di raccontare una storia in francese. Ottimo. Propongo per l’incontro successivo che ognuno racconti una piccola storia nella lingua madre, anche se incomprensibile agli altri.
Questa scelta nasce da un terreno con tanti semi: dare valore alle lingue non europee, esplorare i suoni al di là del significato, essere alla pari nel “non capire”, conoscere storie di diversi contesti geografici e culturali.
Agnese:
Da questo incontro nasce una domanda: Come ri-connettersi quando non si parla la stessa lingua? Come costruire un terreno comune dove muoversi?
La proposta di raccontare ognuno una propria storia nelle proprie lingue ha creato uno spazio più calmo e ordinato, rispetto al primo incontro, dove ci siamo potuti ascoltare.
Ora siamo pronti, insieme. A questo punto, Ilaria prova a iniziare una storia… ognuno aggiunge un pezzo, ispirato da un’immagine. Siamo in una piazza con due popoli in guerra e al centro della piazza una tenda. Alla parola “guerra” sembra non esserci lingua e fraintendimento.
Ilaria:
Alla parola “guerra” sento un cambiamento dell’atmosfera. Più attenzione. Più serietà. Forse perché tra noi che raccontiamo c’è chi la guerra l’ha vista da vicino. Forse è solo la mia proiezione. Forse è solo la mia rappresentazione dell’Altro, del “Rifugiato-Vittima”. O forse è così, è un tema che è entrato nel cerchio e nella storia attraverso un’immagine ma per alcuni di noi non è solo un’immagine.
Agnese:
Poi arriva una grande armatura di ferro. Moriranno tutti tranne uno e a questo punto chiedo cosa farebbero se fossero gli unici rimasti? Se fossere dei re? Questa domanda mi fa riflettere sul potere dell’immaginazione e del porsi delle domande. Puoi diventare in un attimo qualcosa o qualcuno a cui non avevi mai pensato. Avere uno status/forma che ancora non ti è appartenuta e far vivere la propria anima in modo diverso. Chissà se questa esperienza immaginaria poi possa lasciare un segno nel proprio cuore e portare una persona a ricercare quella stessa sensazione per condurla verso il cambiamento?
Incontri: 8 e 11 maggio 2020
Partecipanti: O.B.D.- Eritrea, D.A.S.-Somalia, K.M.-Mali, M.-Italia, I. ”nuova”- Io e Ilaria
Ilaria:
La storia nata da questo incontro impasta elementi “realistici” ed elementi “fantastici”. Partiamo da un’immagine di rocchetti di cotone colorato, D.A.S. dice: “vedo colori, fili…” Agnese continua: “vedo una sartoria… in Africa!”.
La storia continua tra sorprese e difficoltà del protagonista, che sin dalla nascita è chiamato a fare “cose straordinarie”. Grazie all’aiuto fantastico – in tutti i sensi – degli animali, riesce a portare i prodotti della sua sartoria in Italia, dove apre un negozio di successo. Il finale della storia è affidato a K.M., che ha un sorriso enorme, quando risponde: “sì, certo, riesce in Italia a vendere i vestiti. È bellissima questa storia!”
Io aggiungo: “quando torna in Africa, va a trovare la madre, le racconta tutto quello che è riuscito a fare e le chiede: mamma, ho fatto allora cose straordinarie?”
Do’ la parola di nuovo a K.M. che fa dire alla mamma: “Continua…”. Come per dire “continua a fare cose straordinarie” oppure: “per diventare straordinarie deve esserci la continuità…”, oppure… chi può dirlo?
Agnese:
La storia di questo incontro mi è arrivata chiara e forte, è stato come tessere una meravigliosa coperta a più mani senza notare la differenza di mano. Il progetto/sogno di aprire un’attività in Italia l’ho ascoltato molte volte come operatrice, ma quell’elemento fantastico ha aperto orizzonti. Ha reso possibile il trasporto dei vestiti dall’Africa all’Italia con l’aiuto di giraffe, un genio e una balena dalla bocca enorme. Anche l’apertura dell’attività è stata come per magia facilissima. Grazie all’immaginazione. D. a fine incontro dice che non avrebbe immaginato che i vestiti potessero viaggiare in quel modo. Nell’ascoltare il racconto stava pensando ad aerei, navi e invece è rimasto sorpreso. Nel modo in cui K.M. ha risolto l’avvio dell’attività in Italia – “poi prende un magazzino e vende i vestiti…” – sono rimasta sorpresa. Quella facilità nella realizzazione di un progetto ha alleggerito qualsiasi realtà più complessa e gli occhi accesi con cui K.M. parlava mi hanno trascinato con leggerezza in quel mondo possibile.
Dopo la storia, Ilaria introduce il gioco del “Vedo vedo vedo…” in cui è il singolo che osserva un’immagine e da’ voce a ciò che vede. E’ capitato che un ragazzo dicesse davanti a un’immagine: “non riesco a immaginare”. Grazie a domande più semplici di Ilaria come “che colori vedi? Cosa ti fanno pensare questi colori?…” piano piano inizia il processo di creazione. Come dal buio, grazie a una candela, cominciare a vedere la propria stanza. E’ molto bello assistere a questo processo.
Ilaria:
Nel giro di parola finale, M. chiede se nel gioco “Vedo, vedo, vedo…” (dire ciò che un’immagine mi fa venire in mente come una piccola storia) ci sia un’interpretazione da parte mia su ciò che ciascuno dice. È una domanda di cui sono grata, mi permette di spiegare che da parte mia non c’è nessuna intenzione di analisi o interpretazione, solo ciascuno di noi può semmai interrogarsi e chiedersi perché ha visto certe cose in un’immagine.
Questa dimensione interpretativa, per così dire, “psicologica” è e deve essere (dato anche che non sono una psicologa) assente. Tuttavia c’è una profonda consapevolezza della dimensione psicologica delle storie e delle immagini in sé. Come facilitatrice, lascio al gruppo e a ciascuno/a, secondo il proprio momento, secondo il proprio grado di consapevolezza, ricevere dalle storie e dalle immagini significati e senso.
Agnese:
I. “nuova”, così è stata chiamata da M., poi ripreso da D.A.S. con un sorriso giocoso che fa trapelare il clima sereno del gruppo, dice di essersi sentita bambina. A volte non ci diamo il tempo per ritrovare quello spirito giocoso, toccare quel mondo immaginario di cui tutti siamo in possesso e che va rintracciato e a cui ci si può riconnettere, se si vuole.
Poi c’è K.M. che dice di apprezzare l’incontro perchè “gli fa passare tempo”. Anche questo è un tema interessante. Come passare il tempo in questo tempo che sembra di attesa. Come passare il tempo quando devi ancora costruire la propria rete sociale, devi imparare una lingua, non sai ancora come muoverti. Questi spazi di condivisione diventano momenti in cui il tempo acquisisce un valore di scambio, espressione, e inter-cultura.
Ilaria:
Passare il tempo. Passare il tempo in lockdown, in quarantena. Qualcuno ha scritto, detto, che questo virus è come la livella di Totò: ci rende tutti uguali, indifesi allo stesso modo di fronte al pericolo della malattia, della morte. Ma non è così. Questo virus, semmai, rende ancora più chiari i privilegi e il gap tra classi sociali, tra aree geografiche, tra centri e periferie, tra città e campagne (in questo caso, la campagna ha dato privilegi). Come è diverso passare il tempo di quarantena in un appartamento di periferia di una grande città senza nemmeno un balcone e passarlo in una villa con piscina nel quartiere alto-borghese? Se da un lato, in cerchio eravamo tutti e tutte sullo stesso piano, accomunati da non poter uscire, e con uguale potere di immaginazione, eravamo allo stesso tempo, su piani molto diversi in quanto a privilegi. Chi ha limitazioni di libertà di movimento per un periodo di quarantena in emergenza sanitaria e chi ha restrizioni sulla libertà di movimento per il suo “non passaporto”, per il suo “status”.
E poi c’è la riflessione di un mio amico, praticante di Teatro per il Dialogo: “alcune persone sono sempre in quarantena… rifugiati, carcerati, …”. E allora, vediamo come i nostri incontri su zoom, nati dalla necessità, possano diventare un’opportunità per chi rimane nella condizione di quarantena oltre l’emergenza sanitaria. Così io e Agnese, abbiamo immaginato incontri che invitassero persone dai Paesi di origine dei partecipanti, persone di luoghi diversi e distanti…
Incontri: 13 e 15 maggio 2020
Partecipanti: D.A.S.-Somalia, K.M.-Mali, K.M.- Burkina Faso, M.T.-italiana a Berlino, M.- Italia- io e Ilaria
Ilaria:
Nell’esercizio “Vedo, vedo, vedo…”, D.A.S. vede una chiesa in mezzo al mare, con un uomo che prega e si affida a Dio. Chiedo: “E Dio lo ascolterà’?”. “Sì, certo” mi si risponde come se avessi fatto una domanda retorica. Nell’immagine mostrata (estratta da un albo illustrato) in realtà è rappresentato un faro. Ma la premessa è accogliere tutto ciò che arriva, fruire dell’immagine per ciò che evoca più che per ciò che è. Aprire le porte dell’immaginazione e quindi delle possibilità, della pluralità, della polisemia. “Dove non riesco a vedere io, portamici tu” potrebbe essere l’invito per entrare nell’immaginario dell’altro. Per analogia, è lo stesso sforzo e la stessa disponibilità che richiede l’ “Arte di Ascoltare“: “se vuoi comprendere quel che un altro sta dicendo, devi assumere che ha ragione e chiedergli di aiutarti a vedere le cose e gli eventi dalla sua prospettiva” (Marianella Sclavi). Così, per le storie e per le immagini, mi lascio portare in mondi e situazioni che io non immagino e non vedo, ma accolgo la sfida di vedere con gli occhi dell’altro, vedere quello che per me è chiaramente un faro, come una chiesa. Vedere con occhi nuovi è uno degli orizzonti che più mi affascina nelle arti sociali.
In un laboratorio più lungo, si potrebbero dispiegare le potenziali dimensioni profonde di ciò che emerge.
Backstage
Agnese:
La parte organizzativa di questi incontri nel coinvolgere i partecipanti ha significato provare con varie azioni ad arrivare a colpire la loro curiosità.
Incontrarsi per parlare e raccontare storie, non è un’esperienza consueta e non è considerata come qualcosa che contribuisce a raggiungere i propri obiettivi primari. Spesso l’ottenere il permesso di soggiorno, la tessera sanitaria elettronica e il trovare un lavoro sono l’unica chiarezza in un contesto di incertezze. Spesso non sanno come muoversi per ottenere ciò che vogliono e non considerano piccole cose che magari potrebbero aiutarli. Il nostro lavoro come operatori penso sia proprio questo, aprire porte nuove che nascondono strade e percorsi mai attraversati, che possano arricchire e facilitare anche il raggiungimento dei loro obiettivi. A volte è stato difficile riuscire a farli partecipare, con puntualità. A volte mi hanno sorpreso e ho pensato di dovermi anche io fidare di più del processo. Certo è che ognuno ha dei tempi e vanno rispettati.
Il coinvolgimento di altri operatori nella parte organizzativa dei laboratori e nella partecipazione attiva penso sia elemento importante da rilevare.
In questa esperienza, l’equipe ha accolto il progetto sostenendolo sul piano pratico, ma solo due operatori su sette si sono sentiti di partecipare in prima persona. Le motivazioni potrebbero essere varie, dal non essere abituati a raccontare, al non reputare importante questo tipo di incontri, al non avere il tempo. Credo sia stato più il primo caso per noi. Sento comunque che l’equipe è un organismo che possa sostenere o togliere energie. Lavorare insieme per una coesione di intenti sviluppa una forza utile che si trasforma in chiarezza nei confronti dei beneficiari e solidità rispetto alla co-creazione dei progetti individualizzati.
Ilaria:
Il cerchio narrativo o storytelling partecipativo è una pratica nata all’interno della sperimentazione ed esplorazione artistico/sociale del Collettivo TheAlbero sin dal 2011. Risente della “Grammatica della Fantasia” di Gianni Rodari, dell’Estetica dell’Oppresso di Augusto Boal, degli articoli di Franco Lorenzoni sulla narrazione, della fotografia partecipativa integrata al teatro immagine di Uri Noy Meir e il processo estetico “Immagini e Storie” che ne è stato la prosecuzione nel lavoro insieme, e di tanti inenarrabili spunti tratti sia da altre esperienze formative, sia dalla pratica con gruppi diversi per età (ho usato molto lo storytelling partecipativo nelle scuole con adolescenti), genere (ho lavorato spesso con cerchi solo di donne), obiettivi (gruppi di operatori e operatrici sociali in formazione),.
“Obiettivi” è’ una parola chiave in tutti i progetti. Assolutamente necessario per comunicare il senso del progetto, può diventare ineluttabilmente asfissiante durante il processo.
In questo percorso, ho sentito che gli obiettivi che ci eravamo date, erano abbastanza morbidi da essere “orizzonti” verso i quali tendere:
– Attivare le singole persone ospiti del SIPROIMI in un periodo di apparente inattività (dovuto alla pandemia covid19)
– permettere una relazione di interconnessione tra persone che di solito “non si incontrano”: rifugiati e richiedenti asilo e italiani/e
– favorire, anche in tempi di restrizione, una pratica di inclusione, apertura e intercultura
Il fatto che non ci fossero obiettivi e risultati attesi stringenti, mi ha dato una grande sensazione di leggerezza e libertà di seguire ciò che emergeva dal processo.
Ho sentito di avere un “contenitore” forte e al tempo stesso morbido così che potesse accogliere i bisogni e desideri del gruppo senza forzarli in una sola direzione.
Se avessimo ad esempio puntato sull’emersione di storie personali oppure su una particolare consapevolezza, non avrei avuto questa sensazione di “espansione delle possibilità di esplorazione”.
Così è stato possibile:
- riprendere il contatto con “il fantastico”
- accendere la capacità di immaginare
- condividere ricordi attraverso un’immagine (tempo in Libia, pascolo in Mali…)
- passare del tempo insieme
- imparare parole nuove in italiano connesse a un’emozione e quindi probabilmente fissate nella memoria più facilmente
- educarci all’ascolto
- educarci ad accettare l’altro
- ridere insieme
- incontrare, virtualmente, persone che non avremmo incontrato
Storie pluri/Inter-culturali
Ilaria:
Le storie, soprattutto se raccontate insieme in cerchio narrativo, offrono opportunità per esercitare l’ascolto, l’inclusione, l’empatia.
Ciò che io non credo possibile nella storia (nella mia vita?) lo rende possibile il racconto di un’altra persona, ciò che non vorrei per un personaggio si materializza attraverso le parole di chi racconta prima di me e io sono invitata a proseguire. E’ una continua negoziazione, mediazione tra ciò che sento, penso, immagino e ciò che le altre persone sentono, pensano, immaginano.
Intercultura è l’incontro tra me e te. Anche al di là dei paesi di provenienza, delle culture e delle religioni, quando un io e un tu si incontrano, si incontrano sempre due mondi.
Le storie, soprattutto se fiabe o storie antiche, contengono archetipi e significati profondi. Ma quali archetipi e quali significati? E soprattutto, secondo quali codici? Nella cultura occidentale, urbana, moderna, abbiamo perso molti codici per decifrare le fiabe antiche. Le stesse fiabe sono state, durante il tempo, adeguate a “canoni” culturali modificati. Inoltre, come osserva F. Fanon, l’inconscio non è un’eredità cerebrale, ha a che fare con la costruzione simbolica e quindi culturale.
Sento di custodire il processo con delicatezza, soprattutto sospendendo le interpretazioni sugli Altri. Possiamo riflettere insieme, sulla storia che e’ emersa, sulla storia che abbiamo noi insieme raccontato, ma per il resto siamo al limite delle proiezioni e delle rappresentazioni nostre sugli altri. Abbiamo la tendenza a interpretare l’Altro con facilità, soprattutto se questo Altro è sempre stato “raccontato da noi”. Abbiamo più riguardo verso l’Altro della nostra cultura, perché più abituati a riservargli il diritto della complessità.
Per questo, l’intenzione è sempre stata di creare uno spazio in cui chi racconta possa sentirsi protetto, nella frontiera tra ciò che appartiene all’immaginazione e ciò che appartiene al vissuto, in in cui chi custodisce il processo – in questo caso io – e’ nella storia insieme a me, a noi, non al di sopra, non a lato, ma dentro, come me, come noi, con i suoi desideri, le sue paure, le sue fantasticherie, i suoi ricordi, il suo vissuto e il suo immaginato, assolutamente aggrovigliato, in modo che nessuno possa svelarne il Mistero.
Impressioni di chi ha partecipato e non
M.
Probabilmente ogni scrittore di storie si deve confrontare con qualcosa come l’alterità dei suoi personaggi e della sua storia. Non è lui/lei che la inventa ma la storia prende vita sotto la sua penna anche contro la sua volontà. Questa esperienza con “storie che riconnettono” è stata possibile anche per noi umani normali e non scrittori di mestiere. Ma è stata un’esperienza ancora più fisica. Perché la storia non si svolgeva come ciascuno di noi l’aveva pensata, ma aveva svolte improvvise, prendeva direzioni inaspettate, ospitava eventi fantastici inattesi… e giungeva a conclusioni insospettate. E questa imprevedibilità era dovuta non solo alla autonomia che è propria di ogni storia, ma al fatto che eravamo in diversi a raccontare la storia ognuno con la sua sensibilità, le sue esperienze, la sua immaginazione… Il prodotto finale era perciò molto diverso da come ciascuno poteva aspettarselo. Eppure ognuno, o almeno così è stato per me, si sentiva l’autore della storia. L’effetto collaterale è stato una piacevole sensazione di comunione con i partecipanti all’esperienza.
M.T.
Gli appuntamenti mi hanno ricordato di quanta creativitá é possibile nella “semplice” osservazione di un’immagine. Il processo di creare una storia insieme é stato proprio di riconnessione, anche con me stessa attraverso gli occhi degli altri. Potermi connettere con persone che si trovano in Italia in situazioni molto diverse dalla mia é stato come un promemoria, un invito a continuare a guardare fuori dai propri confini (anche mentali). Al tempo stesso anche ri-connessione con il paese e la lingua con cui sono cresciuta. Ho sentito che questo aspetto veniva realizzato nelle storie che raccontavamo – ognuna molto diversa – dove a volte anche i dettagli rispecchiavano qualcosa di molto più vasto e simbolico.
L’aspetto della lingua mi ha molto colpito: nell’entusiasmo di poter riparlare la mia lingua madre (cosa che non faccio più quotidianamente), mi sono resa conto della quantità di parole usate e del mio bisogno di esprimermi in essa. Al tempo stesso, mi ritrovavo a parlare con un gruppo in cui alcuni partecipanti stanno ancora imparando l’italiano. Ho trovato molto bello e importante che Ilaria si accertasse spesso che tutti abbiano capito o ripetesse le cose appena dette. Il tema della lingua come “potere” é una costante anche per me qui, dovendo fare da anni tutto in tedesco.
Inoltre mi sono chiesta se un’introduzione iniziale piú sotto forma di gioco o attività sarebbe stata utile nel primo appuntamento…anche se in realtà il gruppo aveva giá lavorato insieme e in quel momento ero l’unica ed essere nuova.
D.
Ho partecipato al programma di raccontare storie ed è stato bello e molto interessante per me. Mi è piaciuto perchè mi ha aiutato a mettere in pratica come esprimere le mie idee e a migliorare la mia conoscenza della lingua italiana.
D.A.S.
Mi chiamo D.A.S. e sono a Spoleto. Mi sono piaciuti tutti gli incontri e anche le storie raccontate, per esempio quella del Regno e dei due ragazzi venuti dal villaggio. Abbiamo parlato italiano e pensato insieme poi mi è piaciuto conoscere altre persone. Grazie.
A.M.
Ho partecipato solo a un incontro, con mio dispiacere, per motivi personali. Mi sarebbe piaciuto proseguire. La mia fantasia è tutti i giorni messa a dura prova, devo inventarmi storie quotidianamente e lo trovo difficoltoso a volte. Questo incontro è stato uno stimolo anche da questo punto di vista, mi ha dato molti spunti. Da operatrice mi ha dato modo di poter vedere e conoscere i ragazzi sotto un altro punto di vista da quello solito. Il metterci tutti allo stesso piano per creare una storia fantastica insieme, mi ha fatto riflettere e pensare che il mondo fantastico di ognuno può essere condizionato dalla cultura di appartenenza. Ci sono parti di storia a cui non avrei dato peso invece per altri partecipanti hanno rappresentato il fulcro della storia stessa. Si è rivelata un’esperienza piacevole.
R.I.
Mi chiamo R.I. e lavoro come operatore nel progetto Siproimi di Spoleto. Ho seguito il laboratorio “storie che riconnettono” dietro le file, ovvero pur non partecipando attivamente ai gruppi del laboratorio, Agnese mi informava e mi riportava quanto accaduto negli incontri on line fatti con i ragazzi.
Devo dire che l’impressione che ho avuto da questa esperienza, seppur mediata, é assolutamente positiva: mi ha colpito la partecipazione di alcuni ragazzi che difficilmente avrei pensato fossero presenti a questi incontri, mi hanno colpito le sensazioni che questi meeting hanno lasciato in qualcuno, mi ha fatto piacere vedere l’entusiasmo di Agnese in questo breve percorso.
Per quanto riguarda la mia “latitanza” al laboratorio posso spiegarla con una personale scarsa inclinazione a parlare in “pubblico”, resa ancora più resistente dall’uso di piattaforme di video-conferenza; a questo aggiungerei anche esperienze di laboratori, corsi, e situazioni varie in cui non ho vissuto positivamente e serenamente la richiesta di partecipazione “orizzontale”.
—–
Grazie ad Agnese Talegalli e alla coop. Il Cerchio per aver creduto e sostenuto questo percorso.
Stories that reconnect – what’s next?
Posted on October 30, 2021 by TheAlbero
“Stories that reconnect” was born during the first lockdown as a possibility to connect from distance through co-created stories around a virtual fire.
Stories that reconnect thrived with the participants and their invitation to explore more:
we were groups of women exploring the passages in women’s life, weaving images, stories and movement;
we were a group of asylum seekers and Italians from Italy and Germany, sharing fears, desires and memories through images and stories;
we were groups of international students, exploring the potential of telling a collective story together as a practice of listening and peace;
We were groups of passionate people, diving deep into the possibilities of social arts to let us see with new eyes.
Stories that reconnect & conflict transformation
Posted on June 18, 2021 by TheAlbero
DAAD project “International Social Work Acting in Crises”, Attitude matters – module “Violence prevention & conflict transformation” – University of Applied Sciences Würzburg-Schweinfurt, Faculty of Applied Social Sciences and Lebanese American University of Beirut Lebanon
In this seminar we explored the social arts process “Stories that reconnect” in the context of conflict transformation. The seminar is based on experiential and maieutic learning approaches.
We started from the concept of CONFLICT as it is seen in the TRASCEND method
The “educator” is re-cognizing the object of the teaching meanwhile she is teaching to the educands (P. Freire)
We were grounded in a common and shared experience, and from there, we passed to the meta-level reflections.
The seminar is composed by
– a short intro to co-initiate and getting familiar with each other, paying attention to the uniqueness of the group and the intentions of each one
– a core part to co-sense and co-create, through symbolic languages (visual, body, poetic, narrative)
– “presencing” moments to let new awareness emerge
– co-evolving steps to share and communicate in an empathic and caring way
– a meta-level phase to reflect on frames and approaches, methods and techniques, and to explore some possible and simple applications of what we experienced in the context of conflict transformation, peacebuilding and reconciliation.
The seminar has its roots and gets inspiration from a variety of methods and references, among them: Social Presencing Theater by Arawana Hayashi, Theatre of the Oppressed – Aesthetic of the Oppressed by Augusto Boal, Focusing by Eugene Gendlin, Theory U, Work that Reconnects by Joanna Macy, Transcend – conflict transformation by J. Galtung, Pedagogy of the Hope – Pedagogy of the Oppressed by Paulo Freire.
Some feedback from the participants follow:
The facilitation was brilliant. Ilaria created a space where the group felt safe enough to be open and very quickly built up a level of trust with everyone. I really appreciated how many opportunities Ilaria gave to the group to reflect on and share their experiences of each part of the seminar.
I liked the workshop really a lot! The participation/activities in the whole group were very valuable for me personally, not only for Social Work. I very much appreciate the attitude you have shown us and also regarding each unique contribution.
I really found this seminar amazing, and massively helpful. I appreciated the balance of both experiencing the workshops as a participant and also the meta level training.
Facilitation was really helpful and clear. I appreciate how you, Ilaria, got in the game and were always the first to speak about your feelings and your thoughts.
Really well done! There was clear leading and structure, and yet there was absolute freedom to speak out and no time pressure.
The experiential part was definitely what made this workshop so powerful.
I really appreciated the shared storytelling as it forces you to be creative and really listen to the others in order to continue their story.
I really appreciate how after every experiential exercise there was a metalevel moment. It strengthened the concept that was coming out from the exercise.
Two words I take with me are “space” and “sharing” because the Seminar showed me how much they are connected.
I take awareness and listening skills.
How important and valuable it is to connect! To share, to listen, to have a safe space, to be brave, to be open-hearted and open-minded!
I learned so much about the methods of storytelling, embodiment, images, etc. I learned more about myself in different situations. I learned even more to be open to other perspectives and to do active listening. I learned how group trust can be created.
I am really grateful to prof. Hannah Reich, prof. Aimee Ghanem, prof. Lisa Mends and of course to all the students that joined the 2 groups from different parts of the World and co-created the seminars in a unique and special way.
For the first group this was my gift poem (seeing their dances echoing a story):
Your hands, arms, hearts dancing
in between
pushing away and welcoming in.
Swinging in between
fear and love, terror and empathy, anger and compassion.
finally breathing in
the whole that I-you-we are.
For the second group this was my gift poem (seeing their dances echoing a story):
Waves of opening and closing
waves of struggling and acceptance
and then the vast ocean that thanks and holds
all the waves.
Reconnecting with teenagers
Posted on May 13, 2021 by TheAlbero
I am curious and amazed,
by swinging myself upon a waterfall, without fear,
looking at a dolphin on a hill.
This is my poem of resonance from the collective story told by 23 pupils, me, and their teacher.
From the collective story, the poems of resonance, and the final sharing, I see two words emerging: Courage and Listening.
The courage of the girl and the boy, protagonists of the story, to launch themselves into the waterfall and in the deep sea; the courage of the protagonists to stay with each other even when one of them seems like a crazy guy to the other; the courage to go on exploring passing from a landscape/world to another; the courage to say “yes” and healing the fin of a dolphin. This “yes” was the only word of one of the pupils as his contribution to the story and this little powerful word gave a direction to the end of the story. How do we direct our narrating story and our personal and social story with a yes or with a no?
The courage of the teenagers to launch themselves in a collective story. Many of them said about the challenges of the activity: to tell together, to continue the story told by somebody else, depending on the others choices in the story, to improvise, connect to the other’s imagination, match words and images, overcome the fear of not doing the “right thing”, opening up.
The pupils caught exactly – even if not explicitly – the deeper dimension of co-creating stories as a practice of listening. When we tell a story where everybody adds a little piece, there is an ongoing negotiation among different perspectives and imaginaries. And this requires a series of soft skills related to conflict transformation literacy: attentive listening, the capacity of mediation, accepting what it was said, capacity to creatively integrate what the others told and what I am going to tell, capacity to stay into the unknown, taking the agency to creatively transform.
I am very grateful to connect again with teenagers through my work. And now, maybe, with much more awareness of what I can offer and of how I can be.
My challenge was working online and above all working on a platform that does not allow to see everybody either to see the participants meanwhile presenting and screen sharing. And however, we had a meaningful experience. I am aware that, indeed, the intention and the quality of the “presence” (that requires more energy online in my experience) is shaping our model of conversation and the way we are together.
In our co-initiating, we recall our body, our senses. Despite the limit of time and a big number of pupils, we shared and savored our names, at the same time, letting them be present in the ether.
It is so powerful the intelligence of the heart. It is so touching the combination of depth, fragility, and strength. It is so delicate the threshold between me and each one of them and so heartwarming the connection after. It is so fulfilling the opening up that comes from a radical welcoming of whatever is emerging.
*The workshop was “Stories that reconnect with teenagers” delivered online for
Classe I B ISTITUTO COMPRENSIVO “VIA CASALE DEL FINOCCHIO” Roma.
Thanks a lot to teacher Monica Di Bernardo!
Stories That Reconnect – Mapping a Social Arts process
Here my attempt of mapping “Stories that reconnect” as a social arts process.
Appendice
Storytelling partecipativo…
Posted on November 17, 2018 by thealbero
Una storia è una mappa simbolica.
La storia è fuori di me eppure personaggi e luoghi approdano dentro di me,
come archetipi, simboli, metafore di ciò che è dentro.
Racconto, dunque Sono.
Mi racconto e mi ri-compongo.
Mi racconto e mi ri-attacco alla Vita.
Nello spazio protetto tra la realtà del mio vissuto e l’immaginazione sproporzionata del mio Se’,
posso sondare campi inesplorati.
Mi permetto di esagerare per poter indagare.
Invento, ma in realtà, attingo e trasformo, simbolizzo e apprendo.
Narriamo insieme e ci ascoltiamo.
E se perdo un pezzo io, la storia di tutti perde pezzi dappertutto.
Quello prima di me porta la storia dove non voglio, eppure non si può cancellare ciò che ha narrato, si può solo aggiungere un altro pezzo da narrare.
Racconto sempre, con parola o solo con suono e voce.
La voce, il tono, il suono, il gesto. Tutto racconta.
Il mio corpo racconta e ricorda.
Il mio corpo può raccontare ciò che le parole non sanno dire.
Il mio corpo puo’ raccontare ciò che la voce non riesce a far uscire.
Il mio corpo può raccontare laddove la mia lingua non riesce ad arrivare, in terra straniera, in lingua non madre.
Il corpo ricorda nel tocco e nel movimento, nella relazione tra terra e cielo.
Scrivo e mi ritrovo.
Scorre la penna sul foglio, arrivano personaggi, talvolta ridiamo, talvolta piangiamo.
Ci ri-troviamo.
Racconta, racconta, altrimenti siamo perdute
Link al video del laboratorio “Suture”*
Posted on August 29, 2018 by TheAlbero
*Il laboratorio esplora le possibilità di tessitura dei ricordi attraverso il medium artistico, in un orizzonte di apprendimento su di sé e riappacificazione.
Pina Bausch diceva: “danza, danza, altrimenti siamo perduti”, Duccio Demetrio scrive: “Nel mentre ci rappresentiamo e ricostruiamo ci riprendiamo tra le mani”. Attraverso l’immagine, il corpo, la parola, il suono e il movimento, diventiamo narratrici e narratori della nostra storia e ci re-inventiamo in uno spazio-tempo simbolico, sensibile, trasformativo.
Quando nominiamo o rappresentiamo ciò che ci succede dentro e fuori, siamo Presenti nella trama della Vita. Troviamo le suture tra passato, presente e futuro, tra strappi e riconciliazioni, tra memoria e proiezione futura, tra storia personale e Storia collettiva, tra serie di avvenimenti che rimarrebbero una sequenza casuale, talvolta intollerabile, se non ricuciti da noi in una cornice di apprendimento e possibilità.
Si tesse, passo passo, una breve performance sul proprio vissuto, avendo modo di sperimentarsi con voce, corpo, movimento e immagini come dispiegamento delle potenzialità espressive di ciascuna/o. Il laboratorio utilizza il teatro come strumento di ricerca attraverso il corpo che ha una sua memoria e un suo linguaggio narrante, la voce e il suono come ponti tra dentro e fuori, l’immagine come portatrice di simbolo ed evocazione, la parola come potere di nominare ciò che accade.