TheAlbero – Rami e Radici
Raccolta di testi scelti dal blog thealbero, ispirati dalle mie figlie Noa e Thea Noy Meir,
Ilaria Olimpico
Indice
Oh Thea
Gravide di Pace
To my girl
Di foreste e di figlie
La Maestra e Marianna
Noa in canoa sul Rio delle Amazzoni
Allattare
Speriamo che sia ribelle
Testi: Ilaria Olimpico
Oh Thea
Posted on June 30, 2022 by TheAlbero
Oh Thea,
richiamo i tuoi piedini sul fianco della mia pancia,
per essere tranquilla che sei nella posizione giusta.
Tutto cambia quando si cambia posizione, non è così?
A volte sento il tuo tallone sotto il palmo della mia mano,
a separarci solo la pelle della mia pancia.
Immagino i tuoi passi sulla terra…
che siano leggeri,
che siano allegri,
che siano curiosi,
che siano responsabili.
Oh Thea,
quanti paesaggi da attraversare a piedi, dentro e fuori.
A volte i passi saranno bagnati da lacrime,
per commozione, per dispiacere, per dolore.
Che tu possa attraversare il territorio della pioggia di lacrime incessanti,
essendo certa che non sei mai sola,
che c’è uno spazio più ampio,
che c’è una Presenza che tutto può accogliere.
E allora la commozione potrà essere una porta per la gioia,
la disperazione potrà essere una scala nella profondità dell’essere,
il dolore potrà essere il riconoscimento delle ferite e la loro guarigione.
Oh Thea,
ci saranno paesaggi di giardini andalusi,
profumo di arancio e gelsomino,
per ogni innamoramento, per ogni stupore, per ogni incontro.
Che tu possa conservare lo sguardo della meraviglia
per poter sempre attraversare questi territori che aprono il petto, il cuore, le braccia alla Vita.
Oh Thea,
ti aspettano meraviglie,
il mondo a ogni latitudine e longitudine, con i suoi popoli,
con gli infiniti modi geografici e culturali di esistere,
ti aspetta l’alternanza delle stagioni,
i colori delle foglie di autunno,
i grappoli di uva soda,
i rami imbiancati e rosati di fiori che diventeranno frutti,
il gusto delle ciliegie colte dall’albero,
il suono delle ruote delle biciclette nell’aria primaverile,
il tepore del fuoco attorno al quale raccontare storie di inverno,
il cullare delle onde del mare quando ancora le spiagge non sono affollate a maggio,
l’ombra delle querce grandi,
l’incondizionato e costante appoggio della Terra,
le pennellate di nuvole nel cielo che con tua sorella trasformerete in animali e paesaggi fantastici.
E ancora ti aspettano
il piacere del corpo che danza, abbraccia, si bagna,
e l’estasi dell’anima che si espande, vibra, e anche lei, a suo modo, danza.
Oh Thea,
ci sono meraviglie che ti aspettano.
Eppure,
non è un’epoca perfetta,
nessuna epoca è perfetta per nascere,
ma i bambini e le bambine continuano a nascere in ogni epoca e situazione…
in pandemia, in guerra, nel grande calore del cambiamento climatico…
Oh Thea,
ci sono cose da disimparare e re-imparare e tanto da riparare.
Tikun olam.
E tutto ciò che c’è da riparare,
inizieremo a ripararlo insieme,
facendo spazio nel cuore,
e rinvigorendo le braccia e la speranza attiva.
Gravide di Pace #FeministsAgainstWar
Posted on May 15, 2022 by TheAlbero

Come donne gravide,
impareremo a fare spazio dentro di noi
per accogliere l’altro ancora sconosciuto.
Come donne gravide,
eviteremo l’alcol della propaganda che ci obnubila,
eviteremo la droga della violenza che ci rende schiavi,
eviteremo il cibo tossico del linguaggio di odio che ci disumanizza.
Come donne in travaglio,
riconosceremo il passaggio attraverso il dolore e la vulnerabilità, nostra e dell’altro,
e potremo finalmente guardarci e ri-conoscerci.
Come donne in travaglio,
staremo tra le contrazioni delle mediazioni e dei negoziati,
ci dilateremo all’inverosimile per aprire fessure alle possibilità,
non cedendo mai alla tentazione della guerra.
Come donne partorienti,
faremo sentire la nostra voce,
potente e creatrice,
per opporci sempre
alla guerra e alla violenza,
e lanceremo l’ultimo urlo
per dare vita
a un mondo nonviolento.
To my girl
Posted on May 28, 2021 by TheAlbero
La mia bambina crea mondi interi,
ritagliando la carta, piegando un cartone,
continua a raccontare,
mentre le manine si muovono
con le forbici arrotondate tra la carta rosa e gialla.
La mia bambina crea mondi interi,
avvolgendosi con una coperta blu,
esclama: e ora sono la dea del mare!
La mia bambina crea mondi interi,
sbucciando una piantina di bambù,
dà vita a un’anguilla, una biscia, un gelato,
una bacchetta magica.
La mia bambina crea mondi interi,
c’è chi dice: “gioca con niente ‘sta bambina!”
e lei risponde con semplicità: “mi basta l’immaginazione!”.
La mia bambina crea mondi interi,
dietro la tinozza del bucato, nascosta,
mostra una sacca accartocciata che diventa un polpo,
entra con i piedi nella sacca ed esce da dietro la tinozza come sirena.
La mia bambina crea mondi interi,
E la mia missione è guardarla con meraviglia,
accompagnarla con fiducia,
benedirla con gratitudine alla Vita che me l’ha portata.
Di foreste e di figlie
Posted on March 29, 2016 by thealbero
Come una Dafne speculare e opposta,
sono già Alloro, arbusto, pianta,
e sono donna in fieri, in continua metamorfosi tra umano e vegetale.
Rami tra le braccia, i miei tra le tue,
porto te, uomo, nel regno vegetale.
Rami-braccia si cercano e si intrecciano, si sfiorano e si scontrano.
Le mie mani-rami passano tra i tuoi capelli che diventano giunchi.
Della tua barba faccio un nido sul mio ramo più bello.
Mentre ti stringo, la tua pelle morbida e liscia dei fianchi diventa corteccia ruvida e tronco robusto.
Ti porto nella foresta con me.
Siamo mani e foglie, braccia e rami, capelli e giunchi, toraci e tronchi, sangue e linfa, caviglie e radici,
sguardi e cieli, ventri e terra.
Dai nostri frutti prenderemo i più dolci per dare vita alle nostre figlie.
Dalle nocciole più lucide prenderanno colore occhi profondi e immensi,
dalle albicocche più succose prenderanno polpa e carne labbra ben disegnate,
dalla gemma più promettente prenderà forma il nasino delicato e gentile.
I venti che ci sferzano e ci sfiorano, ci avvolgono e ci dividono,
scompiglieranno i capelli delle nostre figlie,
lasciando riccioli del colore delle castagne più buone.
La brezza del mare che risale fino a noi porterà le risate dei delfini fino alla gola delle nostre figlie.
L’odore del grano sarà sulla pelle delle manine da mangiucchiare di baci.
Culleremo tra i nostri rami le nostre figlie
all’ombra delle nostre chiome verdeggianti nella stagione calda,
e nella stagione fredda, lasceremo cadere le nostre foglie
perché le nostre figlie possano godere della luce del sole lontano e fioco.
E sempre resteremo nella terra e sempre tenderemo al cielo.
Perché è dalle fessure che passa la luce, figlie mie,
perché é accanto alle ferite che la benedizione riposa.
E anche nei momenti più freddi e bui dell’anno,
non sarete mai sole, figlie, perché siete figlie della foresta.
La maestra e Marianna
Posted on September 7, 2014 by thealbero
Ci sono storie dai colori pastello, dove il blu, il giallo e il rosso rivestono paesaggi fantastici e personaggi briosi e bizzarri; ci sono storie bianche che si svolgono nella neve e nel mare freddo del Nord, che raccontano di abbandoni e solitudini; ci sono storie dai colori caldi che curano le ferite e fanno tornare gli sguardi da bambini; ci sono storie poi in bianco e nero, dai contorni non ben definiti, che raccontano mondi antichi e lontani, poetici e talvolta malinconici. Questa storia me l’hanno raccontata in bianco e nero, per immagini come fosse un vecchio film muto, dove i dialoghi sono nei volti e le parole decifrate sono poche e bianche, scritte in un corsivo antico su cartelli in nero.
C’era innanzitutto una bicicletta, una bicicletta che io ho sempre immaginato come una di quelle che da noi si chiamavano “Graziella”. E sulla bicicletta c’era una donna, né giovane né vecchia, dal viso sereno e dal sorriso sincero, a volte innocente e a volte da bambina birichina. E la donna in bicicletta percorreva sentieri pietrosi e bianchi. E ai lati dei sentieri pietrosi e bianchi, sorgevano casette semplici e basse, alberelli da frutta e arbusti aromatici.
C’erano le volte in cui la donna in bicicletta pedalava spensierata per andare a fare la spesa, per andare a messa o per andare a fare una chiacchierata nelle case amiche, e poi c’erano le volte che la donna in bicicletta pedalava veloce, piegata in avanti per acquisire velocità, col fiatone e il batticuore. Queste erano le volte, che di giorno o anche di notte, andava a riscaldare l’acqua, preparare le stoffe bianche di tela pesante e prendere la vita dalle pance delle donne.
La donna in bicicletta la chiamavano “maestra” perché aveva insegnato anche ad altre donne l’arte della levatrice. Allora, a volte, si vedeva un uomo in camicia non stirata e fuori dai pantaloni, con la barba non fatta e lo sguardo un po’ perso che diceva a chi domandava: “abbiamo già chiamato la maestra, sta venendo”. Altre volte, si vedevano gruppetti di donne con il fazzoletto sulla testa e il grembiule sporco di farina, attorno al forno, che dicevano: “sta arrivando la maestra, ma è presto ancora”.
E altre volte ancora, si vedeva qualche bambino nel cortile di una casetta semplice e bassa che sedeva sul muretto con le gambe a penzoloni e a chi domandava diceva: “stanno tutti dentro, speriamo che la maestra arriva presto”.
Una notte, Marianna fece chiamare la maestra. Sentiva un serpente che partiva dal punto più basso della schiena e arrivava alla sua ioni, passando per i fianchi. La maestra arrivò e disse che era presto. La notte dopo, Marianna sentì di nuovo il serpente che la avvolgeva, quando restava nel letto, si metteva sul fianco, aspettava di sentire il dolore e cercava di allertare tutti i sensi, per capire bene come si svolgeva questo mistero e per poter spiegare alla maestra cosa sentiva e a che punto stava la faccenda. Era quasi mattina ormai e Marianna faceva su e giù dal letto, ascoltava il mistero, si posizionava come aveva detto la maestra per aspettare e accogliere la forza della vita, si accovacciava, piegandosi sulle ginocchia con le gambe larghe, facendo spazio per il pancione alla sua massima espansione, inspirava profondamente e, quando il dolore si faceva più intenso, lo accompagnava, espirando lungamente con la bocca appena aperta come se fischiasse. “Non si può più aspettare, bisogna chiamare la maestra” disse il marito con la voce seria seria. Marianna acconsentì. La maestra venne e preparò un grande telo spesso sul pavimento, cambiò le lenzuola, diede le indicazioni al futuro padre e diede del miele alla futura madre. La maestra aveva detto a Marianna: “sentirai la forza della vita che ti avvolge i fianchi, ti stringe, ti addensa, ti compatta, e intanto, anche se non lo sentirai allargherà, dilaterà, spianerà”. Il respiro di Marianna che accompagnava e accoglieva il dolore diventava un fischio sonoro, poi una “a” prolungata, poi una “a” quasi urlata. La maestra aiutò allora Marianna a sopportare il dolore: applicò stoffe bagnate di acqua calda sulla parte bassa della schiena, le fece fare un bagno versando acqua calda sulla parte dolente, la fece appoggiare sulle sue spalle e le disse di dondolare sulle ginocchia piegate. Infine la forza della vita cambiò toni e modi, irruppe facendo rompere il sacco amniotico e acqua chiara uscì a fiotti, bagnò camicie, lenzuola e pavimento. Marianna si accovacciò sul telo spesso, guardava le labbra della maestra che sussurravano sorridendo lievemente: “è quasi fatta, forza”. Arrivò il momento di spingere, la forza della vita cambiò ancora toni e modi. Lasciava prendere fiato, energie e suggerimenti e poi tornava più forte che mai e in maniera nuova. Come si spinge veramente si chiedeva Marianna. La maestra aveva una voce calma e dolce, nei momenti di tregua, suggeriva a Marianna di guardarsi la pancia, di immaginare la bambina, le diceva che ormai poteva vedere i capelli scuri. Marianna allora urlò, urlò più per trovare la forza necessaria a spingere che per il dolore, e la testa di Nina fu spinta fuori e tutto il corpicino seguì sgusciando come un pesciolino. In un attimo Nina passò dalle mani sapienti della maestra al seno gonfio di Marianna e Marianna fu completamente risucchiata dagli occhioni scuri di Nina spalancati sul mondo.
La maestra era ancora una volta, per la millesima volta, commossa, con le pelle d’oca e gli occhi lucidi, ma oramai Nina prendeva tutta l’attenzione. La maestra aspettò il secondamento, sistemò le ultime cose, aiutò Marianna a cambiarsi, a lavarsi e a rilassarsi con la piccola Nina al seno, sul letto odoroso di lavanda mediterranea.
La maestra salì sulla sua bicicletta, sentì le gambe tremolanti, come sempre, come se fosse sempre la prima volta, sentì tutta la stanchezza e disse in mente una preghiera per la piccola Nina, come usava fare sempre per tutte le bambine e tutti i bambini: “Che Dio sia davanti a te per guidarti, dietro di te per proteggerti e al tuo fianco per benedirti”.
Noa in canoa sul Rio delle Amazzoni
Posted on May 4, 2014 by thealbero
Questa è una delle storie di Noa in canoa…
Quella volta, la piccola Noa si trovava sul Rio delle Amazzoni, incontrò un pappagallo e disse: “Salve pappagallo!”. E il pappagallo rispose: “Salve pappagallo!”.
Allora Noa disse: “Ma io non sono un pappagallo!”. E il pappagallo rispose: “Ma io non sono un pappagallo!”.
Allora Noa disse: “Ah, neanche tu sei un pappagallo!”. E il pappagallo rispose: “Ah, neanche tu sei un pappagallo!”.
Allora Noa iniziò a ridere e il pappagallo iniziò a ridere e insieme, si fecero grasse risate.
Allattare
Posted on May 1, 2014 by TheAlbero
Quando la tua bocca si stacca dal mio seno
e i tuoi occhi narranti si attaccano ai miei occhi,
il tempo si ferma, si dilata.
E io assaggio il latte della Felicità.
Speriamo che sia ribelle
Posted on February 25, 2014 by thealbero
Sei arrivata dalla mia ovaia sinistra, sento le forze della vita a sinistra della mia ioni.
“No, Signora, non significa assolutamente nulla quello che sente, l’embrione è posizionato al centro”.
La pancia è tonda, è femmina.
Una fossetta al mento pizzicato: è maschio.
Colorito pallido, è femmina.
Buonumore, è maschio.
Se è vivace e si muove molto nel pancione, è chiaro, è maschio.
Meglio se è maschio. È più facile.
Se è femmina costa di più vestirla. Però è una compagnia in casa, ti dà una mano!
In Lucania, quando nasce un maschio, si versa una brocca d’acqua per la strada, a simboleggiare che il bambino è destinato a percorrere il vasto mondo. Quando nasce una femmina, l’acqua viene versata nel focolare, a significare che la sua vita sarà dedicata alla cura della famiglia e della casa.
Speriamo che sia maschio, non lo dicono mai esplicitamente, ma lo sottintendono sempre.
Speriamo che sia femmina, è il sussulto delle donne dei cerchi.
Speriamo che sia maschio, speriamo che sia femmina… io dico, maschio o femmina, speriamo che sia ribelle.
Ribelle ai ruoli stereotipati.
Ribelle alle identità di genere culturalmente costruite e poi “naturalizzate”.
“Nonna, lo so che volevi un maschio, ma io me lo sentivo: è femmina.”
“E va be’ pure è ‘na compagnia, stanno nascenn tutt’ femmen, c’amma’ fa’? Vonn nascere!”.
“Cognome da sposata? Nome di suo marito?” Dico direttamente il cognome del papà senza perdere tempo oppure rispondo: ho sempre il mio cognome, sono sempre io. E non è la normalità l’essere sposata e non è neanche la normalità che ci sia un cognome del papà del bambino.
Respiro. Speriamo che sia ribelle.
Ribelle al senso comune.
Ribelle a ciò che viene dato per scontato.
Ribelle a tutto ciò che si definisce normale.
“Parti precedenti? Menarca? Aborti spontanei? Interruzioni di gravidanza?”
Prosegue con la stessa tonalità di voce, uomo, donna, non fa differenza nella sensibilità, domanda se ho perso dei figli, se ho deciso di perdere dei figli, con la stessa tonalità della gelataia che mi chiede: cono o coppetta? Con panna o senza, signora?
Speriamo che sia ribelle.
Ribelle al lavoro come meccanizzazione, spersonalizzazione, disumanizzazione.
Speriamo che sia ribelle.
Ecografia 1. 9 settimane.
Ti sento per la prima volta davvero, al di là del senso che non distingue il razionale dall’emotivo, le fantasticherie dalle sensazioni.
Mi sento invasa dal tuo battito vibrante, deciso, veloce.
Posso sentirlo ancora? È la mia vocina di madre emozionata, ingenua, inconsapevole.
Ecografia 2. 14 settimane.
“L’ecografia è come un martello pneumatico per il bambino. E’ come un fischio, fastidioso o no, dipende da tante cose, l’intensità, la durata, il macchinario…”
“Signora può entrare per l’ecografia.”
“L’ho fatta meno di un mese fa, non la rifarei, se non occorre…”
“La mamma non vuole vedere il suo bambino?”, melliflua, viscida, affettata, in camice bianco, bianca di emozioni vere.
Ogni attimo di passaggio e pressione dello strumento imbevuto di gelatina fredda sulla mia pancia è un secondo in più di martello pneumatico, di fischio nella mia mente e forse nelle orecchie del mio bambino.
“Eccolo, si è girato a salutarvi”, falso, sciocco, mellifluo. Io penso che il mio bambino forse si è girato perché si è spaventato. Il battito non è più l’emozione della prima volta, è il segnale della paura del mio bambino.
Speriamo che sia ribelle.
Speriamo che sia ribelle a tutti i percorsi istituzionalizzati.
Speriamo che sia ribelle alla Nemesi Medica.
Amniocentesi.
Oramai la fanno tutte quante.
Hai fatto l’amniocentesi?
Ah, io l’ho fatta con tutti e due i miei figli.
Signora, qui trova tutti i centri dove è possibile fare l’amniocentesi.
Mi parla di amniocentesi, di duotest, di percentuali sulla normalità del bambino… le donne fabbriche di bambini normali sottoposte al controllo qualità con tanto di criteri e percentuali. Mandano in onda la pubblicità progresso sulle persone con sindrome di down e intanto, vellutatamente, ti dicono di scremarle prima che arrivino. Per altruismo verso di loro, perché la vita è difficile così… per egoismo e paura del diverso tutta nostra, perché non siamo pronti.
Speriamo che sia ribelle.
Ribelle alle definizioni di normale.
Ribelle alle omologazioni.
Ribelle ai buonismi di facciata.
Ecografia 3.
Ti chiedo perdono piccolino, se sentirai fischi e martelli, ma ho bisogno di sapere come stai.
Lo strumento imbevuto di gelatina fredda ti trova, ti misura, ti ingrandisce, seleziona parti del tuo corpo, le misura, le ingrandisce.
E’ tutto misurato, calcolato. E’ tutto nelle misure “giuste”, “calcolate”.
Il mio piccolo sta bene. Sono rasserenata. Sono felice per le procedure?
La ginecologa segna ecografia specifica per il cuore. “Perché c’è qualcosa che non va?” Il mio cuore steso sull’amaca in terrazza tranquillo all’ombra, si getta alla ringhiera della terrazza al sole, sudato e allarmato. “No tutto a posto, ma se dovesse avere dei problemi cardiaci alla nascita, sarebbero pronti a intervenire”.
La mia mente corre veloce:
Anno 2020: ecografia occhi e orecchie: controllano che il feto non abbia problemi di vista e udito.
Anno 2030: ecografia permanente 3D: l’ultimo mese il feto è sotto controllo costante.
Anno 2040: ecografia per il colore degli occhi: signora, come, non vuole sapere il colore degli occhi di suo figlio?
Anno 2050: in offerta ecografi da casa, per controllare di tanto in tanto come sta e cosa fa il proprio bambino.
Dove finisce la cura e la premura, dove inizia l’ossessione?
Speriamo che sia ribelle.
Ribelle alla volontà di controllo.
Ribelle alla volontà di superpotenza.
Dovresti fare un’ecografia ogni mese per controllare lo stadio di sviluppo.
La mia amica non è andata a fare neanche un controllo ed è andato tutto bene, basta stare tranquille.
Bisogna essere delle incoscienti a non usufruire di tutto il progresso medico scientifico.
E’ tutto over-medicalizzato. Devi ribellarti.
Hai visto il video della donna che partorisce nella foresta da sola?
Fallo un controllo in più, che fai se succede qualcosa al bambino?
I ginecologi sono le persone più sbagliate da vedere in gravidanza.
A me è finito il liquido amniotico, sono dovuti intervenire, menomale avevo fatto il controllo.
Il parto indotto non segue il ritmo naturale.
Sono stata tutta la notte in travaglio da sola poi alle 7, poiché gli conveniva per i turni, mi hanno indotto il parto.
Shhh…
Speriamo che sia ribelle.
Ribelle a tutti i sistemi ideologici, degli uni e degli altri.
Ribelle a tutti i pensieri unici, a tutte le alternative uniche.
Ribelle a tutti i sistemi di pensiero chiusi, giudicanti, rigidi, escludenti.
Speriamo che sia ribelle agli uni e agli altri.
Ti sogno piccolina, con i miei occhi e il sorriso di chi amo.
Ti sogno piccolina e mi risveglio con una sensazione di pace.
Le madri devono diventare un po’ pazze, eccedere nelle visioni oniriche e staccarsi dal mondo materiale.
Ti sogno piccolina e nutrendo te al mio seno, nutro la bambina che sono stata,
la bambina che sento di essere in questa tempesta di voci che mi dicono cosa fare e non fare.
“Puoi uscire un attimo? – La voce del capo, della capa – E questa pancetta?”
“Pancetta” la chiama il capo, la capa, l’amministratore, la segretaria.
“Se non ci fa’ un’altra sorpresa…” riecheggia nei corridoi grigi, senz’anima.
Che differenza fa’ per loro se non ho neanche diritto all’assegno di maternità?
Piccolina, dovevo forse nasconderti ancora per farmi inserire in un ennesimo progetto in cui dovrò elemosinare ciò che mi spetta?
Sii ribelle piccolina, sii ribelle a questo sistema che stritola, macina, spreme, sfrutta,
sii ribelle a questo sistema che vuole solo che le donne partoriscano nuovi consumatori
e che tornino presto a lavoro, e in forma, perché altrimenti se sformate e grasse sono da “rottamare”.
Il parto è un’esperienza estatica, sciamanica.
Non c’è niente di spontaneo nel parto.
Io ho chiesto l’epidurale e non me l’hanno voluta fare.
Il dolore nel parto è fondamentale per il rilascio di endorfine che proteggono la mamma e il bambino.
Parto in casa? E non ci pensi al bambino?
Non c’è niente di romantico nel parto.
Mia madre racconta che il mio parto è stato frettoloso… frettoloso… sarà per questo che ho una particolare premura a custodire la lentezza, a difenderla, a rivendicarla… sarà per questo che ho conservato il bisogno insoddisfatto di dormire, di restare nel grembo dell’inconscio e dei sogni… frettoloso… il parto di me è stato frettoloso… e per tutta la vita reclamerò la lentezza.
—- ”Speriamo che sia ribelle” è stato presentato nel corso del 2013 come lettura drammatizzata
al Festival “Teatro in Comune” organizzato da TheAlbero a Casalbordino (CH) e
al “Female against violence” a Roma.