TheAlbero – Fatima!
Testo, regia e interpretazione: Ilaria Olimpico

Sinossi
Un omaggio a Fatima Mernissi, sociologa marocchina di delicata sensibilità e acuta osservatrice della propria cultura e altrui. Basato sui libri e le interviste della sociologa, il monologo svela gli stereotipi sulle donne e sull’Islam, trapassa continuamente tra Occidente e Oriente, invita a una ri-appropriazione del potere della parola e delle storie, smentisce pregiudizi diffusi e opinioni di studiosi “illustri”. Si alternano racconti di storie delle Mille e Una Notte, storie di vissuti personali di Fatima Mernissi e citazioni suggestive delle donne di famiglia che restano “invisibili ma potentissime come i profumi e i sogni”.

Lo spettacolo pone domande e stimola riflessioni sulle rappresentazioni dell’Islam, dell’harem, della donna. Poggiando sulle riflessioni della sociologa, pone continuamente interrogativi sui concetti di confine e frontiera, tra “noi” e “loro”, tra donna e uomo, tra chi ha potere e chi non ne ha.
“Ho bisogno del tuo punto di vista,
dello sguardo di un estraneo per comprendere meglio la mia realtà.
Anche io ho paura certo, credimi, ho paura come te,
ma proprio perché ho paura voglio trasformare la società.”
Fatima!
(Testo integrale)
Il confine indica la linea del potere, perché dovunque esista un confine ci sono due categorie di esseri che si muovono sulla terra di Allah: i potenti da una parte e, i senza potere, dall’altra. L’ansia mi divora ogni volta che non so individuare con esattezza la linea geometrica che determina la mia impotenza.
Cercare e trapassare i confini è diventata l’occupazione della mia vita.
Sono Fatima Mernissi, sono nata a Fez, in Marocco, nel 1940.
Mia madre ha preteso che i festeggiamenti per me – femmina – fossero uguali ai festeggiamenti per mio cugino Samir – maschio, nato lo stesso giorno un’ora prima di me. Mia madre diceva: “Allah ci ha creati tutti uguali. La superiorità maschile è del tutto illogica e antimusulmana!”.
Io sono nata al piano terra e mio cugino Samir al secondo piano.
Vivevamo tutti in un harem. Sì, in un harem!
Quando ho viaggiato in Europa, ho notato sempre un sorrisetto malizioso dei giornalisti quando dicevo che ero nata in un harem… fu presto evidente che non stavamo parlando della stessa cosa: gli occidentali avevano il loro harem, io avevo il mio, e i due non avevano niente in comune. Il loro harem era un festino orgiastico in cui gli uomini potevano ottenere il piacere sessuale senza difficoltà. Nei quadri occidentali, di Ingres, di Matisse, le donne degli harem sono nude, passive, mute. Nelle miniature musulmane, le donne degli harem sono a cavallo di veloci destrieri, armate di arco e frecce e rivestite di abiti pesanti. Le donne sono intelligenti, astute, attive, incontrollabili per questo le chiudono nell’harem.
Il confine, non per forza deve essere esplicito e visibile.
Le mura del mio harem a Fez erano alte e il portone era sorvegliato da Ahmed.
L’harem di mia nonna Jasmina, in campagna, era senza mura, era “già sufficiente averlo in testa il confine”, come diceva lei, “scolpito dietro la fronte e sotto la pelle”, e questa faccenda di andarsene in giro con un confine sotto la pelle e dietro la fronte mi disturbava alquanto.
Ma il mio harem aveva anche una terrazza, grande, imbiancata a calce, aperta. La terrazza delle storie e dei sogni, la terrazza con le giare di olive giganti… a volte da piccola mi ci infilavo dentro nella giara e da là dentro sentivo le voci dei bambini: “un harem è una casa con un uomo che ha molte mogli?”, “un harem può avere più di un padrone?”, “c’è bisogno di schiavi per fare un harem?”. E quando uscivo dalla giara, chiedendo spiegazioni, la nonna Jasmina diceva: “Le parole sono come le cipolle, Più pelli togli, più significati incontri”. E la zia Habiba rispondeva: “Gli harem cambiano da una parte all’altra del mondo e da un secolo all’altro”.
Allora mi domando: a voi, in Occidente, in quale harem vi hanno confinato? Quali limiti, hudud, vi hanno messo nella testa?
Ero in un grande magazzino americano, mentre cercavo di comprarmi una gonna di cotone, e la commessa a un certo punto pronunciò la sua fatwa:
– Lei è troppo grossa!
– Troppo grossa rispetto a cosa?
– Rispetto alla taglia 42. Le taglie 40 e 42 sono la norma. Le altre taglie sono anomale.
– E chi decide la norma?
– La norma è dappertutto, mia cara, su tutte le riviste, in televisione, nelle pubblicità. Non può sfuggire.
In Oriente usano lo spazio, l’harem, per dominare le donne, in Occidente usano il tempo e la taglia, cristallizzano l’ideale di bellezza nell’immagine di una ragazzina taglia 42. Massimo.
Zia Habiba, sulla terrazza dell’harem, mi raccontava sempre della Donna col vestito di piume… E quando la zia raccontava, le donne dell’harem si infilavano il caffettano nella cintura e danzavano con le braccia aperte come stessero per spiccare il volo.
(Musica)
C’era una volta a Baghdad, un giovane attraente di nome Hassan, che era andato in fallimento e decise di partire in cerca di fortuna. Una notte, mentre scrutava il mare, vide un movimento di grazia eccelsa: una donna uccello era venuta a posarsi sulla spiaggia. All’improvviso, la donna si tolse la sua veste di piume e, bellissima, nuda, si tuffò nelle onde. Già pazzo di voglia di possesso, Hassan rubò la veste di piume. La donna, privata delle sue ali, divenne sposa di Hassan ed ebbe due figli. Hassan ricoprì la donna di seta e pietre preziose per essere sicuro che non cercasse più la sua veste di piume. Ma una sera la donna disse: – Sono passati lunghi anni, ridammi ciò che mi appartiene. – Se ti darò la tua veste di piume, andrai via; sei cattiva. Ma la donna si ricavò spazi e tempi per la ricerca della sua veste di piume e quando l’ebbe trovata, abbracciò i figli con sè e prese il volo.
Certo una storia da sola non basta a trasformare il mondo o ad abbattere i muri, però aiuta a conservare la dignità.
Sulla terrazza dell’harem della mia infanzia, confinate, abbiamo partorito mondi senza confini. E mentre coi passi misuravamo il nostro spazio ristretto, sognavamo orizzonti illimitati.
Le donne della famiglia raccontavano le storie di Sherazade delle Mille e una notte. Una volta vidi un balletto su Sherazade in Europa e rimasi stupita della costruzione del personaggio: basato su corpo, bellezza, erotismo. L’unica danza vera di Sherazade non è una danza erotica, ma è il gioco del linguaggio nel cuore della notte; per dirla in arabo: samar.
Il re Shahryar, un giorno scopre la moglie che lo tradisce con uno schiavo, profondamente adirato, taglia la testa ai due amanti. Da quel momento il re ogni giorno sposa una vergine e ogni notte uccide la sposa dopo averla consumata. Sherazade, la figlia del vizir del re, un giorno si offre come sposa e la notte di nozze inizia a raccontare al re una storia meravigliosa che interrompe proprio nel momento più denso, così che il re desideroso di ascoltare il seguito rimanda l’assassinio. E notte dopo notte, racconto dopo racconto, Sherazade rimanda la morte per mille e una notte. Attraverso le parole e le storie, Sherazade salva se stessa, le altre donne e cura l’anima del re assassino.
Io voglio fare come Sherazade, voglio fare del racconto la mia arma di battaglia. Prendo la parola, come donna, come musulmana, come Fatima.
Mia madre mi diceva: “devi imparare a gridare e protestare proprio come hai imparato a camminare. Piangere davanti agli insulti significa chiederne ancora. Prendi la parola. Non lasciare agli altri il compito di ribellarsi per te”.
E così ho preso la parola.
Ho contraddetto Samuel Huntington che non considerava possibile coniugare Islam e democrazia. Ho smentito ulema dell’Islam e studiosi occidentali, come Bernard Lewis che affermava: “Non ci sono regine nella storia islamica”. Le ho cercate e le ho trovate: donne sultane nel mondo islamico dallo Yemen alla Mongolia, dall’Egitto all’Indonesia, e fin dall’inizio della storia islamica.
‘A’ysha, la moglie giovane del Profeta Muhammed, fu la prima donna musulmana a oltrepassare gli hudud, scavalcando i confini tra privato e pubblico, femminile e maschile, capeggiando la prima rivolta contro il califfo ‘Ali, tanto da doversi sentir dire da ‘Ali, dopo la sconfitta: “è questo che il Profeta ti ha ordinato? Non ti ha ordinato di startene tranquilla a casa tua?” .
Altre donne, nella storia politica dell’Islam, hanno oltrepassato i confini, ma nella storia ufficiale sono state “opportunamente” dimenticate. Chi narra la Storia? Chi narra l’Oriente? Chi narra l’Islam? E chi narra, cosa sceglie di narrare?
Le voglio tener care le parole per illuminare le notti scure. Cesellerò parole che rendono vane le frontiere. Mi sembra tanto facile, a guardarvi sulla terrazza lontana… zia Habiba, nonna Jasmina… Sento le vostre voci…
“Viaggiare è il modo migliore per conoscere la tua forza. Devi conoscere gli stranieri e cercare di comprenderli. Più riesci a capire uno straniero, più conosci te stessa, più sei forte” … nonna Jasmina…
“Le mie figlie viaggeranno, scopriranno il mondo, lo capiranno, e alla fine prenderanno parte al suo cambiamento”… mia madre…
Poi si rivolgeva a me e mi diceva: “Tu cambierai questo mondo, non è vero? Tu costruirai un mondo senza frontiere, dove i portinai come Ahmed fanno vacanza tutti i giorni dell’anno. Tu cambierai questo mondo, non è vero?”
Lunghi silenzi seguivano i suoi discorsi, ma la bellezza delle sue immagini restava nell’aria e fluttuava nel cortile come fanno i profumi o i sogni. Invisibili, ma potentissimi.
Fatima! è stato ospitato da:
Festival delle Arti Migranti, Rinoceronte Teatro, Perugia, 2017, performance
Festa di Rigenerazione, Panta Rei, Trasimeno, 2017, performance e cerchio narrativo
Evento Salus, Fortezza del Girifalco, Cortona, 2018, performance all’aperto
Coordinate cartesiane, Radio Città del Capo, 2018, podcast con reading e intervista
Biblioteca Villa Urbani, Perugia, 2019, reading e laboratorio interculturale
