• Home
  • Blog
  • Podcast
  • Upcoming
    • The Labyrinth of Community
    • Unfolding the Invisible
    • Unlock the News
  • About
  • Join
Login
ImaginAction.orgImaginAction.org
  • Home
  • Blog
  • Podcast
  • Upcoming
    • The Labyrinth of Community
    • Unfolding the Invisible
    • Unlock the News
  • About
  • Join

Articles

  • Home
  • Blog
  • Articles
  • Alla ricerca di doni e sogni

Alla ricerca di doni e sogni

  • Posted by Ilaria olimpico
  • Date October 6, 2020

Il racconto a due voci di un’esperienza di co-creazione, implementazione, trasformazione e continua ricerca in un percorso sulla valorizzazione delle competenze attraverso un lab di storytelling (Progetto LIFE)

A cura di Mara Moriconi e Ilaria Olimpico

Sognare e progettare insieme: équipe, metodologie e strumenti

Il nostro lavoro di programmazione è iniziato a dicembre 2019. A fine gennaio abbiamo svolto il primo laboratorio (in presenza) a Perugia.

 E’ prezioso e qualitativamente incommensurabile il tempo dell’équipe di preparazione prima della partenza dell’attività concreta. Abbiamo stabilito insieme il percorso, gli obiettivi,  abbiamo valutato e integrato le metodologie, abbiamo ricercato e scambiato documenti e materiali, abbiamo immaginato le strategie di coinvolgimento, ma anche e soprattutto affinato la comunicazione all’interno dell’équipe. Abbiamo cercato di ritagliarci questo tempo di qualità. Abbiamo dedicato tempo all’ascolto reciproco sulle attese che avevamo riguardo a questo nuovo lavoro che iniziava, ben assestati nei contenuti che il Progetto Life presenta sia riguardo alla micro-azione del laboratorio di competenze, sia riguardo alla più ampia visione generale che ha come obiettivo l’integrazione socio-economica di cittadini di Paesi Terzi. Abbiamo studiato insieme e individualmente i ricchi contenuti dei progetti EspaR (ESPaR, European Skills Passport for Refugees, Centro di Centro di Ricerca sull’Orientamento e lo Sviluppo Socio-professionale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore,  (FAMI) 2014 – 2020; aprile 2018. www.espar.it) e Mile (GUIDA MILE, documentare l’esperienza di apprendimento informale per la mobilità professionale europea, Progetto MILE, IASIS ONG Atene, Grecia, Key & Key Communications Deruta / PG, Italia, sotto la direzione di Education Center EST Wadowice, Polonia), ottobre 2018) che si occupano di valorizzazione delle competenze di cittadini di Paesi Terzi, in particolare Rifugiati e Richiedenti Asilo. Ci siamo lasciate ispirare e abbiamo rielaborato in modo originale il “portfolio”. Abbiamo programmato il percorso intrecciando le nostre metodologie ed esperienze pregresse. 

Un grandissimo valore ha avuto la transdiciplinarietà. Le competenze diverse di ciascuna si incastravano per formare un paesaggio complesso e variegato con attenzione a prospettive anche diverse. Ognuna di noi ha portato l’esperienza maturata sul campo in anni di lavoro con cittadine e cittadini migranti. Avevamo avuto esperienza di quanto fosse difficile, non funzionale, spesso frustrante,  raccontare, far confluire le esperienze e le competenze maturate da queste persone nel loro passato in formati documentali quali CV in formato Europass.

Si sono incontrati:

– il registro più analitico, razionale, logico della parte dell’intervista e raccolta di informazioni su competenze, esperienze e formazione dei partecipanti

– il registro metaforico, analogico, simbolico, emotivo della parte dello storytelling per l’emersione di passioni, sogni, talenti, difficoltà e sfide, percezione dei bisogni del mondo. Anche nell’esperienza di EspAr si incontrano questi due registri, uno laboratoriale di narrazione autobiografica e uno analitico razionale: “…la narrazione, che all’inizio sarà più aperta, metaforica, emotiva. In questo modo lascerà spazio a processi di pensiero primario, quindi meno controllati, e che si riferiscono in misura maggiore a contenuti inconsci, per aiutare la persona ad attivare la disponibilità a processi di riprogettazione e a gestirne l’emotività ad essi connessa. Successivamente, nella fase di identificazione e descrizione analitica delle proprie esperienze formative e lavorative, l’approccio sarà più razionale…”

La guida Mile in questo senso, offre una prospettiva interessante perchè ha come obiettivo, tra gli altri, quello di “facilitare la transizione da differenti tipi di apprendimento e di formazione al mondo del lavoro in un nuovo paese: perché tale transizione riesca, è essenziale mostrare un  portfolio convincente, che documenti l’esperienza; nel caso delle persone in mobilità essa può essere stata acquisita in contesti anche molto lontani dall’educazione formale”.

Da tutte le integrazioni è nato il nostro Documento Strumenti che ha raccolto: il Patto di Adesione, il modello dell’Intervista, il modello del Portfolio finale, il percorso dello Storytelling. 

Intenzioni e programma

Oltre gli obiettivi specifici di progetto, abbiamo portato con noi questi orizzonti e intenzioni:

  • Aumentare le possibilità di trovare un impiego significativo e soddisfacente per ciascun@
  • Far emergere e riconoscere le esperienze di apprendimento informale che rappresentano la parte più cospicua delle esperienze dei cittadini di paesi terzi. A tale proposito la “Guida MILE è concepita come una risorsa pratica per educatori, per adulti che cercano modi per sostenere efficacemente le persone in mobilità nel far sì che la loro esperienza di apprendimento informale venga riconosciuta in un nuovo contesto socio-culturale”
  • Co-costruire le premesse per la pace e la convivenza, potendo rielaborare in modo costruttivo le paure, gli stereotipi, i pregiudizi, che fomentano la xenofobia e la violenza. Come rileva la guida MILE, infatti, la comunicazione della propria esperienza individuale aiuta a rimuovere le etichette
  • Vedere con occhi nuovi se stesse/ii e gli altri, riconoscendosi nei propri doni e talenti a servizio del Mondo.

Abbiamo strutturato il percorso in 6 tappe:

1 incontro di presentazione

2 intervista individuale

3 storytelling

4 redazione del portfolio

5 back office

6 consegna del portfolio con celebrazione e valutazione finale

Destinatari: equilibrio tra intenzioni e risultato

Abbiamo voluto un gruppo misto, con cittadini\e di Paesi Terzi e con italiani\e. Nel primo gruppo ha partecipato una persona italiana. Abbiamo fortemente voluto gruppi misti, come principio di non separazione, opponendoci alla “ricostruzione di segmentazioni e ghettizzazioni” che da un lato danno adito ad alcune lamentele degli italiani (“tutto per loro…”), dall’altro lato non favoriscano l’inclusione sociale che è uno degli obiettivi del progetto. Nonostante altre esperienze facciano riferimento all’omogeneità del gruppo come elemento positivo per la riuscita di un percorso di bilancio delle competenze (vedi EspaR), abbiamo scelto anche metodologicamente la pluralità e la diversità. Nelle nostre esperienze, la pluralità può agevolare la solidarietà del gruppo (supporto reciproco tra pari a seconda delle proprie attitudini, abilità, esperienze), l’ampliamento delle prospettive (percorsi di vita diversi che difficilmente si incontrerebbero si incontrano, talvolta ispirando nuove possibilità), il ripensare a se stessi nei propri privilegi e\o disparità, l’esperienza interculturale (la possibilità di sviluppare una competenza interculturale all’interno del percorso stesso come risultato informale). Inoltre, sia migranti che italiani si trovano a dover fronteggiare un mercato del lavoro sempre più complesso e instabile che può dar luogo a percorsi professionali sempre più frastagliati e imprevedibili. Entrambi condividono le sfide di 

  • “continue ridefinizioni della proprio profilo professionale in funzione dei cambiamenti del mercato del lavoro”
  • “L’accontentarsi del posto di lavoro garantito, non investendo nello sviluppo della propria professionalità, deve cedere il posto alla formazione lungo tutto l’arco di vita, ad una convivenza con la flessibilità e ad una maggiore propensione a creare le proprie opportunità” (ebook EspAr)

Tuttavia, le nostre intenzioni si sono scontrate con l’imperativo di risultato del progetto che conteggia i destinatari solo dei Paesi Terzi. 

Anche in questo caso abbiamo comunque dovuto fare i conti con gruppi disomogenei e che in ogni caso, ci hanno visto procedere con cautela e attenzione. 

Ovviamente per persone che non avevano mai redatto un CV, il laboratorio è stato superlativo ed erano molto entusiaste. Un gran bel sorriso dipinto sui volti si vedeva soprattutto nelle persone provenienti dall’Africa. Più contenute le persone da Italia, Spagna e Brasile, molto probabilmente proprio perché già a un altro stadio nel loro percorso personale. Tuttavia, sentiamo che il percorso ha donato anche alle persone con un livello di istruzione più alto, una possibilità di sondare i loro sogni e passioni e i loro “blocchi” da un punto di vista diverso (anche nelle valutazioni emergono espressioni come: sguardo diverso, punti di vista, chiarezza). Questa parte rimane “intangibile” e difficilmente “valutabile” a freddo.

Redigendo il portfolio di una donna di un paese europeo, abbiamo sentito come, solo nel processo più simbolico ed esperienziale, fosse emersa la speranza, la vera passione e alcune idee per andare avanti; nella parte di percorso più razionale e analitica, era emersa, quasi con disperazione, solo l’urgenza di un lavoro “qualunque”. La partecipante ha poi notato nella valutazione: “è possibile che ancora qualcosa lavora in me, e più in là mi tornerà utile quello che emerso nel percorso” (riportato a memoria).

La questione sull’omogeneità del gruppo come punto di forza o debolezza lo sentiamo molto forte.

La differenza appartiene a più aree: Provenienza, Lingua, Livello di istruzione, biografia linguistica, Livello di esperienza professionale.

Mentre rimaniamo convinte della necessità anche politica ed etica di mantenere la differenza di provenienza, mischiando soprattutto migranti e locali, crediamo sia necessaria una certa rigidità per il livello di conoscenza della lingua italiana. Il percorso prevede la necessità di avere padronanza di parole, per raccontare, spiegare, profilare  e se queste ancora non ci sono viene inficiato il fine stesso del lab. Inoltre, la conoscenza della lingua ha valore non solo ai fini dello svolgimento e della fruibilità del percorso, ma soprattutto per come si inserisce il lab nel percorso personale, per cui è indispensabile una conoscenza minima della lingua per poter accedere al mondo del lavoro (quanto meno una lingua veicolare più diffusa, come inglese e francese). 

La diversità di livelli di istruzione e di esperienza professionale da un lato crea due ritmi anche nella fruizione del percorso, dall’altro può generare un processo positivo di sostegno e sprone all’interno del gruppo, da esplorare in che modo attivare maggiormente. Questa pluralità presenta un costo in termini di gestione dei tempi del laboratorio stesso: per portare avanti e a termine un compito, se il gruppo è omogeneo si procede unitariamente. Quando il gruppo è disomogeneo, sotto il profilo della lingua e della biografia linguistica, i tempi si dilatano nel rinforzo di certi input, nella comprensione, nella presa di coscienza della attività da compiere e nel compierla.  La disparità di ritmi e profondità di fruizione del lab, ovviamente non dipende solo dalla differenza italiani\ non italiani. Abbiamo avuto nello stesso gruppo due persone di Paesi Terzi, una con una conoscenza davvero minima della lingua italiana e un’altra con una formazione universitaria in Italia. 

Questo lavoro ci permette di toccare con mano la complessità e unicità dei vissuti di ciascun@.

Abbiamo ricordato anche come ogni gruppo e ogni individuo all’interno del gruppo è diverso nella risposta e ricezione di proposte esperienziali, di consapevolezza, di crescita personale e maturazione.

Sta di fatto che per le altre due edizioni del lab non c’erano persone italiane, ma speriamo fortemente che ci saranno per le prossime edizioni, soprattutto considerando la difficoltà economica della fase “rilancio”, legata alla pandemia.

Prototipare: fare, co-creare, ricevere feedback e ri-programmare

 Il primo laboratorio è stato funzionale per ricevere feedback per poi rimodulare in modo più efficace e preciso la ripartizione delle ore delle diverse tappe e l’affinamento degli strumenti stessi. Il primo lab, come tutte le “prime” ha visto il nostro coinvolgimento e anche una grande dose di entusiasmo. Abbiamo potuto osservare con attenzione i tempi di input ed output riguardo a quanto proposto, sulla base di questo abbiamo rimodulato per i successivi lab, per esempio strutturando l’intervista in modo che fosse più immediata la trasposizione delle informazioni verso il portfolio e che iniziasse qui, con domande dettagliate e mirate, il percorso di consapevolezza di ognuno rispetto alle proprie esperienze formative e lavorative.

1 incontro di presentazione

È il momento per conoscersi, per spiegare gli obiettivi e le tappe, per concordare il Patto formativo. 

Diamo spazio alla presentazione dell’équipe, così da rendere ragione della nostra presenza. Diamo la possibilità a tutti di intervenire e già da questo primo momento, oltre alle informazioni di base ci arrivano anche informazioni sul livello di conoscenza della lingua.

Abbiamo avuto molta attenzione nel delineare i confini delle aspettative possibili. Come sottolineato anche nella Guida MILE ed EspAr, un percorso che riguarda la valorizzazione delle competenze può facilmente essere percepito come un percorso occupazionale. Così, ribadiamo sempre gli obiettivi: prendere consapevolezza (di sogni, passioni, blocchi, competenze, lavoro che vorrei fare), redigere un portfolio di competenze con un progetto individualizzato. Nelle due edizioni in presenza, utilizziamo la facilitazione visuale, scrivendo sulla lavagna a fogli mobili parole chiave e tracciando frecce e linee per evidenziare connessioni tra tappe, attività e obiettivi, disegnando figure semplici che rimandano ai concetti principali.

La terza edizione è una sperimentazione online nata dalla contingenza del lockdown dell’emergenza sanitaria dovuta alla pandemia da Covid 19. Dopo il primo momento di smarrimento, abbiamo deciso di progettare e di sperimentare una modalità di svolgimento online. E’ stata necessaria una preparazione accurata: ripensare gli strumenti, imparare l’uso della piattaforma Zoom, concordare le modalità di tracciabilità, ri-programmare nei tempi che siano sostenibili online, cercare un gruppo di destinatari che possa sperimentare il prototipo online in maniera più facilitata (trovando quindi un gruppo di beneficiari del SIPROIMI a cui faccia da ponte un’operatrice di un ente gestore).

Cerchiamo una modalità di presentazione e promozione del lab, realizzando una serie di video, con attenzione ai contenuti e per alcuni, con l’ausilio di immagini. 

Inizialmente, pensiamo possano esserci anche modalità asincrone, per esempio per guardare i video esplicativi di presentazione. Presto, ci accorgiamo che i video si rivelano troppo dettagliati e particolareggiati per essere utilizzati. Soprattutto è essenziale trasporre, quanto più possibile nella versione online, il clima di benvenuto, accoglienza, calore, che sicuramente ha bisogno di un incontro sincrono, insieme, seppure ognun@ nel suo rettangolino Zoom.

Prepariamo quindi, per il primo incontro online, una presentazione (tramite il sito canva.com) con parole chiave e immagini che facilita la comprensione degli obiettivi e delle tappe e usiamo la modalità “share screen”.

Il gruppo del lab online è di quattro giovani africani, alcuni con una conoscenza della lingua italiana basica. Abbiamo deciso un limite di cinque partecipanti essendo online più difficile mantenere l’attenzione e seguire tutti.  Non abbiamo la certezza che tutti e quattro abbiano davvero capito tutto e siano entrati nei veri contenuti e nelle possibilità che il lab dà, per lo meno nella fase iniziale, in questo incontro di presentazione. Qualcuno mostra di avere già un CV e chiede, si chiede, ci chiede, se ha senso partecipare. Spieghiamo in modo più chiaro in cosa possa essere diverso il percorso, riportiamo degli esempi di partecipanti delle edizioni precedenti che anche avevano un CV ma in cui non era scritto ciò che poi era emerso nel lab. Alla fine, scegliamo di non usare una comunicazione convincente a tutti i costi da “pubblicità”: questo lab e’ un’opportunità. Se la persona può dare fiducia che possa essere utile, noi non sappiamo come è fatto il suo CV, sta a lui decidere se partecipare o no. Alla fine, la persona scettica deciderà di partecipare e sarà soddisfatto del suo portfolio.

2 Intervista individuale: approccio, esperienze

In un percorso di valorizzazione delle competenze, il primo elemento dell’approccio è

  • Uno sguardo valorizzante, apprezzativo

In un percorso che prevede l’emersione dell’apprendimento non formale e informale, altro elemento indispensabile è

  • La curiosità e la pazienza di ascoltare 

In un gruppo misto per provenienze, culture, lingue, indispensabile e’

  • La consapevolezza della relatività delle proprie categorie concettuali, culturali in senso ampio o culturali in senso di settoriali. Per l’approccio interculturale facciamo riferimento soprattutto a Margalite Cohen Emerique. In sintesi, “essere sensibili alla cultura di ciascun@ senza schiacciarl@ e appiattirl@ nella sua cultura irrevocabilmente, negando l’individualità, la dinamicità delle culture e delle persone… Riconoscere la natura soggettiva dell’appartenenza culturale e la molteplicità di appartenenze di ciascuno” (ebook EspAr)

Occorre tempo. Questo è il nostro monito personale per l’esperienza dell’intervista. Occorre tempo per permettere alla relazione di prendere forma, così che le domande e le risposte diventano più fluide, si ricostruisce insieme un percorso, dando il tempo al ricordo di venire fuori dalla nebbia, dando il tempo alla narrazione di sé di svilupparsi in modo sensato, così che anche quello che sembrava insignificante possa essere inserito in una cornice di apprendimento e possibilità.

Una partecipante ha detto: “ho avuto la possibilità di dire, ricordare, chi sono “.

Ma le leggi di progetto ci richiamano al fatto che non abbiamo un tempo infinito, abbiamo un monte ore da rispettare e così siamo alla ricerca, come sempre, dell’equilibrio. Il modello dell’intervista era stato elaborato facendoci ispirare dalle parti più operative e laboratoriali dei modelli EsPar e Mile. Particolare attenzione è riservata ai percorsi dettagliati di studio e lavoro. Tempi, durata, luogo, lingua parlata, materie studiate, mansioni svolte. Ma soprattutto domande che invitano a una valutazione positiva o negativa di quelle esperienze e sia per l’una che per l’altra scelta, si richiede di motivarne il contenuto. Riflessioni che aprono il percorso che poi subirà una espansione nella parte di storytelling. Ci concentriamo non solo sulle competenze professionali o linguistiche, ma anche sulle competenze trasversali. Per molti di loro è la prima volta che sentono espressioni come “puntualità, lavorare sotto stress, risoluzione dei problemi, capacità di lavorare in gruppo”. Per meglio entrare in questa prospettiva si chiede loro di raccontare un’esperienza problematica che si sono trovati ad affrontare e a risolvere. Questa parte risulta difficile per i partecipanti che hanno pochi mezzi linguistici e non sono riusciti a comprendere appieno dove si intende condurli. 

Fornire queste informazioni in un documento utile alla presentazione personale e alla ricerca del lavoro risulta tanto più importante, quanto più si tratta di cittadini con esperienze e competenze lontane da quelle del nostro Paese; solo con con questo livello di analiticità si può dare vita a un prodotto che anch’esso sia un modello di inclusione sociale.

——— Ricordi delle interviste —- —-

 Ricordo alcune interviste in particolare. Un’intervista in presenza a una donna che, talvolta scivola nel raccontare dei dettagli, passando da una cosa all’altra in modo confuso. Emerge che c’è stato uno strappo, un trauma, nella sua vita, ma scelgo di non approfondire, perché: 1 non è il contesto per aprire uno spazio di ascolto più profondo che sconfinerebbe in una relazione di aiuto/cura/healing; 2 ritornare e restare nel tracciato dell’intervista è l’obiettivo che abbiamo concordato. La cosa che mi colpisce è che nel CV che la donna ha compilato con un’operatrice, risultano solo alcune esperienze lavorative in Italia, quelle che non la soddisfacevano (stiratura, pulizia…), mancano invece le esperienze che per la donna sono le più significative: aiuto ad altre donne, traduzioni, creazione e vendita online di bigiotteria e borse. Da tutto questo emergono: un’attitudine alla relazione di aiuto e una buona capacità imprenditoriale!). 

Un’altra intervista che ricordo ha come protagonista un uomo filippino. Per me è un viaggio nell’ignoto, in una cultura e un paese di cui non conosco quasi nulla. Questa persona ha molti anni di esperienza come cuoco a Roma, dove ha imparato lavorando e subito lo hanno “promosso” da aiutante a chef. Quando parla del menu che ha inventato gli brillano gli occhi. Ha viaggiato per le strane regole del sistema di migrazione tra Filippine e Italia sin da quando era piccolo, andando e tornando per rinnovare il permesso. Io sono sbalordita e incredula e in verità non mi è molto chiaro il perché di questi andirivieni. Ma questo mi dà il pretesto per chiedergli se è consapevole di come questo gli abbia dato delle competenze “interculturali”. Non ne era consapevole. Ma ha assolutamente una competenza che manca a molti italiani: riconoscere il passaggio da un codice culturale all’altro. Inseriremo la competenza interculturale tra le sue competenze trasversali nel portfolio.

Ed ecco il mio ricordo della prima intervista via whatsapp: un’esperienza prosciugante. Dopo appena un’ora di lavoro, mi sento come completamente prosciugata di forze. Ho intervistato un giovane originario del Mali, un livello di italiano di base, con un’educazione alla scuola coranica e un anno di scuola francese. Era importante per me spiegare la motivazione dietro l’intervista e le domande, soprattutto quando sentivo che si voleva passare oltre. Spesso, detto o più o meno implicito, c’era un commento come “questo non è importante”. “Questo” era aiutare la madre al mercato, aiutare il padre con le mucche e le pecore, oppure con la coltivazione di riso e mais o parlare Bambara. Quanta s-valorizzazione del proprio paese, delle lingue non europee, dei lavori della terra. Una s-valorizzazione che ci riguarda tutti e tutte. L’obiettivo principale è diventato veramente “valorizzare”, dare valore. Sentivo la fatica di dover ripetere o parlare piano o trovare parole più semplici. Una parte di me mi diceva di andare avanti (tanto è inutile, non ci capiamo…), quindi subito un’altra parte di me si sentiva in colpa, e un’altra parte di me continuava intanto a cercare una comunicazione possibile. Ho ricordato e sperimentato quanto sia fondamentale la capacità di una facilitatrice di ascoltare ed essere consapevole di tutte le parti di se’, restando in ascolto dell’altro. La fatica era ampliata soprattutto dalla frustrazione di non poter fare affidamento su altri canali sensoriali, se non quello dell’udito e della vista limitata a un viso chiuso in un rettangolino sullo schermo (molti studi stanno rivelando le cause della cosiddetta “zoom fatigue”).

Altre interviste individuali  fatte via WA, hanno avuto un esito più felice e leggero, grazie a un livello più alto di conoscenza della lingua e anche alla capacità di utilizzare con una certa padronanza mezzi come quelli digitali per svolgere le attività. Ci riferiamo in particolare all’intervista, lunga e corposa svolta con un ragazzo del Gambia. In Italia da alcuni anni, ben avviato alla lingua e, in questo momento studente di scuola media, quindi perfettamente in grado di utilizzare la videochiamata e considerarla un mezzo oramai ben conosciuto. Il buon livello culturale e linguistico ci ha permesso di scrivere molto, ricostruire molto. 

———————————————

Emerge talvolta l’aspetto secondo il quale questa intervista, nella percezione dei partecipanti, è una sorta di appuntamento “formale”, come se le operatrici/facilitatrici rappresentino una autorità governativa che esamina e valuta. In questo caso i partecipanti si dichiarano pronti a tutto, pronti a svolgere qualsiasi lavoro.

Per quanto riguarda la capacità di analizzarsi e capire davvero quale direzione far prendere alla vita professionale, non è spesso, in questa fase, possibile fare progetti e pensare percorsi specifici riguardo a lavori specifici, perché l’unica urgenza rimane quella di trovare “qualsiasi” lavoro. Qual è il lavoro che vorresti fare veramente? “Tutto. Sono disposto a tutto”. E’ la risposta che abbiamo sentito tante volte. E non dipende solo dal fatto di essere migrante. Dipende dalla sensazione di urgenza e necessità e chissà, forse, da una certa cornice transculturale che identifica il lavoro come sacrificio e fatica che considera pigro e “con i grilli per la testa” chi aspira a qualcosa in più e non e’ disposto a fare “qualsiasi lavoro”. 

Attraverso il laboratorio di storytelling ci proponiamo proprio di sondare: Cosa vogliamo veramente fare? Cosa ci fa battere il cuore? 

Un giovane partecipante del primo laboratorio aveva espresso il suo desiderio di diventare magazziniere. Solo dopo il percorso di storytelling, ha detto che quello che veramente gli piacerebbe fare e’ un lavoro a contatto con la natura, il lavoro di magazziniere e’ un lavoro di ripiego.

Attraverso il lab di storytelling, ci ri-connettiamo a quali erano e sono i nostri sogni, a chi eravamo, a chi siamo, a chi saremo.

3 lab storytelling 

“… l’esigenza di facilitare il collegamento tra i sentieri del passato con quelli del futuro, per riconoscere che i cammini che si seguiranno sono sempre attraversati da quelli originari attraverso cui si è transitati.” (Ebook EspAr)

La cornice del percorso è ispirata alle fasi principali della Teoria U, teoria del cambiamento evolutivo elaborata dal prof. Otto Scharmer del M.I.T. di Boston e dalla sua equipe del Presencing Institute.

Spesso la traccia della U si sovrappone alla traccia a spirale del Lavoro che Riconnette di Joanna Macy, iniziando con la Gratitudine, passando per Onorare la Ferita, per poi Guardare con Occhi Nuovi e Andare Avanti.

Le domande e le tematiche sono ispirate ovviamente dagli obiettivi del percorso e più 

specificamente dal concetto giapponese di Ikigai (parola giapponese traducibile come “cosa mi fa alzare dal letto la mattina”, o come “il senso della vita”).

La Metodologia fa riferimento alla pratica dello storytelling partecipativo integrata al teatro immagine e alla tecnica del photolangage, pratica sperimentata all’interno del Collettivo Artistico TheAlbero sin dal 2011 (raccontata nell’articolo “Images and Stories”, parte della pubblicazione  internazionale “Ensayando el Despertar” a cura di Hjalmar Geoffrey).

L’orizzonte del laboratorio di storytelling è uno shift nella consapevolezza, nell’intenzione di “… far emergere un nuovo modo di vedere le cose, una nuova immagine di sé, una inedita consapevolezza dei condizionamenti interni ed esterni” (Ebook EspAr).

Nell’espressione che mi piace,  l’intenzione è poter vedere con occhi nuovi.

La narrazione di se stesse/ii apre possibilità di ricomposizione della propria storia, collegando passato, presente e futuro, re-immaginando la propria identità in modo coerente con la propria intenzione del momento. “Nel mentre ci rappresentiamo e ricostruiamo ci riprendiamo tra le mani… il raccontare ci trasmette la sensazione di “tenerci insieme”… ha un potere ricompositivo” (Duccio Demetrio).

Come scrivo nell’articolo su TheAlbero: “Attraverso l’immagine, il corpo, la parola, il suono e il movimento, diventiamo narratrici e narratori della nostra storia e ci re-inventiamo in uno spazio-tempo simbolico, sensibile, trasformativo. Quando nominiamo e simbolizziamo ciò che ci succede dentro e fuori, siamo Presenti nella trama della Vita”.

Il risultato concreto è (per i lab in presenza) un “Totem”, una traccia che combina linguaggio visivo, grafico e scritto tramite una mappa. 

L’intenzione della mappa è di gettare già un ponte concreto tra l’esplorazione di registro analogico, emotivo, simbolico del laboratorio e la redazione del documento finale con un registro logico, razionale, organizzato.

Il primo incontro del primo lab di storytelling è stato per me molto emozionante. Il gruppo si è reso disponibile a entrare in una dimensione corporea, giocosa, relazionale, fuori dall’ordinario. 

Ho raccontato la storia tradizionale del Centro America di “Poder” sul talento e il gruppo, invitato a partecipare con il corpo e il suono, rispondeva in modo stupefacente. Abbiamo potuto davvero iniziare con la gratitudine, immergendoci, tramite un altro esercizio, nell’infanzia, nella terra dei sogni e di ciò che ci piace fare. Un gruppo fantastico, misto per genere, provenienze, livello di cultura formale, conoscenza dell’italiano. 

È alquanto alchemico ciò che succede nei gruppi. Ci sono variabili irripetibili. In questo caso, avevamo: una sala tutta per noi, protetta, che ha consentito di sentirci a nostro agio (con il secondo gruppo, avevamo una saletta che non era del tutto chiusa al passaggio esterno); un tempo abbastanza lungo per una discesa graduale in una dimensione più profonda; la disponibilità di ciascun@ di fidarsi e lasciarsi condurre; un numero adeguato per una buona energia (il secondo gruppo era più piccolo con persone che si conoscevano tra loro tranne una). Ricordo ancora i corpi gioiosi liberi di muoversi nella sala, che al primo incontro incuteva ancora un po’ di reverenza con i suoi enormi quadri, le tende spesse, il tavolone da conferenza. Ricordo le risate vere, autentiche, nel condividere, solo attraverso il movimento, i giochi dell’infanzia. Passando da questa gioia e dalla gratitudine, abbiamo potuto affrontare il tema dei blocchi, delle sfide. Ricorreva la sensazione di pesantezza, o gambe in paralisi e testa piena. Una lunga giornata insieme ci ha fatto attraversare i blocchi, sorpassare la soglia verso il futuro e percorrere il sentiero verso il lavoro che vorremmo fare, accompagnati da post it, scotch carta, immagini stampate e piccole poesie scritte da ciascun@.

Proprio in questo gruppo, è stata apprezzata molto la dimensione relazionale.

Ogni gruppo e ogni percorso sono assolutamente unici. 

Nel momento in cui siamo dovute passare alla modalità online, la parte relativa allo storytelling mi è sembrata quella più difficilmente adattabile. C’erano domande funzionali, tecniche, ad esempio: Come poter usare il linguaggio visuale e corporeo tramite zoom? Ma più di tutto, c’era una domanda più generale e ampia, su come affinare la comunicazione e la facilitazione, come sviluppare, in modalità online, la capacità di ascolto del campo, dell’atmosfera del gruppo, senza il prezioso “sensore” del corpo del facilitatore connesso agli altri corpi.

Nel nostro primo prototipo online, abbiamo avuto il vantaggio straordinario di lavorare con il supporto e la disponibilità di Agnese Talegalli, operatrice del progetto SIPROIMI di Spoleto. Spesso è stata un ponte, anche fisico, portando ad esempio le immagini stampate ai partecipanti, immagini che abbiamo usato come materiale del laboratorio. 

Il percorso e gli strumenti della parte di storytelling hanno subito molti adattamenti nel tempo di preparazione, ma soprattutto sono diventati, per così dire, malleabili, durante il tempo di svolgimento, in dialogo costante con ciò che emergeva dal gruppo e dalla particolare situazione di essere “via zoom”.

Il primo cambiamento significativo è stato nel tempo di svolgimento. Nei lab in presenza, abbiamo avuto due incontri intensivi di 4\5 ore. Il tempo prolungato insieme facilita la creazione di un contesto di fiducia, la graduale discesa in profondità, la sensazione di un percorso progressivo. La modalità online ha richiesto di spezzare il lab in tre tempi di 1-2 ore massimo, considerando la fatica di seguire in schermo per più di 90 minuti.

Abbiamo cominciato a esplorare i talenti attraverso una versione adattata della storia tradizionale orale del Centro America: “Poder” (*ho ricevuto la storia di Poder dal mio mentore Hector Aristizabal, mi permetto ogni volta di adattarla e re-inventarla a seconda del contesto, del gruppo e del mio sentire nel momento presente).

Il tempo, la pazienza, la lentezza sono gli ingredienti di questo primo incontro di storytelling che hanno consentito di arrivare ad alcune riflessioni dei partecipanti: ciascun@ ha un dono e anche noi tutti, abbiamo la possibilità con i talenti di fare del bene e anche di fare cose distruttive, le storie fanno venire in mente dei ricordi.

In particolare è stato importante tradurre in francese e inglese alcune parti rilevanti della storia, fermarsi di tanto in tanto facendo domande per capire se tutti stessero seguendo, avere il supporto di Mara, che scriveva alla lavagna virtuale le parole chiave.

Ho invitato a scegliere un’immagine che rappresentasse il proprio talento.

Per il secondo incontro abbiamo dovuto rivedere il programma a causa del Ramadan e a causa di lezioni del CPIA in parallelo. Tramite l’operatrice Agnese, ho saputo di alcune resistenze e dubbi tra i partecipanti, così il check in (in gergo della facilitazione, un giro di parola prima di inizare per condividere come stiamo) del primo incontro è stato esplorativo e approfondito. Per due partecipanti stavano sfocando gli obiettivi. Ho avuto modo di riprendere gli obiettivi del percorso: documento portfolio e percorso di consapevolezza. Ho adattato la scaletta programmata ai bisogni dei partecipanti. E’ emerso il bisogno di sapere di più sul documento finale, che ho quindi illustrato attraverso la lavagna virtuale zoom. Non è sempre facile accogliere le resistenze o i dubbi dei partecipanti, ma ascoltarle può aprire più facilmente la strada per quel che si farà dopo. Solo dopo aver sciolto i dubbi, infatti, abbiamo potuto entrare nella storia del Cervo, storia, questa volta, facilitata dallo storyboard per immagini preparato ad hoc. La storia è stata il canale per affrontare il tema delle difficoltà, dei possibili blocchi o sfide. Sono emerse riflessioni che considero significative della storia: bisogno di visione nella vita, determinazione, ognuno ha la propria freccia (metafora di pensieri autolimitanti) e la propria scelta, dare valore alle cose semplici. 

Abbiamo esplorato le domande ispirate dal concetto di ikigai: Quale è il mio talento? Di cosa ha bisogno il mondo? Per cosa posso essere pagato? Cosa mi piace fare?

Abbiamo ripreso le risposte del secondo incontro. Un partecipante ha messo molto tempo per poter dire che il suo sogno era fare l’avvocato (che non ritiene più possibile). La domanda per lui è stata: quale altro lavoro potrebbe avere in sé gli elementi che ti piacevano del lavoro di avvocato e che potresti fare? Mi ha molto toccato tutto il processo per arrivare alla risposta e quello che ho sentito e visto è stata l’immagine di una riesumazione di un sogno e la sua sepoltura definitiva.

Abbiamo proseguito con il lavoro sulle difficoltà e l’attitudine nelle difficoltà. Nei lab in presenza ho fatto questo lavoro tramite il corpo, ispirandomi agli esercizi sul “blocco” del Sociale Presencing Theatre. Il blocco può essere una condizione, situazione in cui sentiamo di essere in uno stallo, in  difficoltà. Il blocco è vissuto, abitato, reso visibile tramite una statua corporea. Non uso il termine “rappresentato” proprio perché trarrebbe nell’ambiguità che il corpo rappresenta il blocco, mimando o stereotipizzando. Il corpo non rappresenta ma rende visibile, sente, mostra.

Come ha funzionato in presenza?  Dopo un riscaldamento per prendere confidenza con l’uso del corpo, abbiamo lavorato sui blocchi simultaneamente in cerchio e poi ognun@ ha mostrato al centro il blocco e ricevuto risonanze sia nella dimensione più oggettiva “cosa vedo, cosa noto” (postura, braccia aperte/chiuse, sguardo basso/alto/frontale/laterale, gambe aperte/rigide/piegate, etc), sia nella dimensione “cosa sento” più soggettiva (sentimenti, sensazioni, emozioni che mi suscita).

Ho ricordato che la persona che mostra il blocco prende ciò che risuona e lascia andare ciò che non serve, che potrebbe essere semplicemente una proiezione degli altri sulla sua immagine. Con un’immagine di un blocco, ho usato la tecnica dei “Poliziotti nella Testa” del Teatro dell’Oppresso. Sono apparse le voci: “non ce la fai, per te e’ troppo difficile!”. Queste voci sono state riconosciute anche da altri nel gruppo. E’ stato molto utile appuntare in nero sulla lavagna a fogli mobili ciò che emergeva dalle immagini dei blocchi. Nel passaggio alla statua di trasformazione ho potuto aggiungere in verde sulla lavagna a fogli mobili le intuizioni che arrivano dalla trasformazione corporea della statua.

La cosa che mi ha stupito è stata la trasformazione di una donna. Nella statua del blocco, la donna era in piedi, a gambe leggermente divaricate, aveva la testa leggermente abbassata con le mani dietro la nuca in una leggera pressione, con i gomiti aperti. Ho dovuto un po’ insistere perché provasse a restare nella sua immagine e sentire cosa nel corpo voleva cambiare. Ho preso l’immagine su di me a farle da specchio e “tenerle compagnia” mentre la manteneva, e quello che io sentivo era dover mettere giù le braccia. Quello che lei ha fatto e’ stato chiudere i gomiti e abbassare ancora di più il capo. Quando le ho chiesto una parola o una frase da quella posizione, ha detto più o meno così: “arrendersi, trovare un po’ di tranquillità, piangere”. Questo mi ha dato modo di condividere con il gruppo come ogni blocco sia vissuto in modo diverso da ognun@ e come soprattutto non ci sia una “soluzione” ma un “passaggio” e un passaggio che e’ diverso per ciascun@ a seconda del proprio momento nella vita.

Così come la donna aveva sentito di “chiudersi”, in maniera speculare e opposta, un’altra ragazza, da una posizione simile di pressione sulla testa, aveva avuto bisogno di aprirsi (lanciando letteralmente le sue braccia via dalla testa dove premevano sulle tempie). Mi torna in mente l’espressione: “Stay with the brokenness“, nonostante il continuo richiamo alla felicità, all’apertura, alla risoluzione, consigli e simil coaching che si perdono nel nulla perché non ancorati a quello che il nostro corpo sa e chiede, momento per momento. C’è un tempo per chiudersi e un tempo per aprirsi, e solo chi lo vive sa in che stagione è.

Nel gruppo, online, con una conoscenza solo di base dell’italiano per la maggior parte, non ho sentito di usare direttamente il corpo. 

Troppo difficile staccarsi dallo schermo e mantenere la concentrazione, sia per il livello di italiano, sia per la presenza di altre persone nella casa dei partecipanti. Ho preparato quindi delle immagini di posture del corpo, sperimentando come potesse funzionare l’identificazione con delle immagini. Le immagini erano tutte di uomini, essendo i partecipanti tutti uomini. Siamo arrivati a trarre delle piccole riflessioni dalle posture e condividere quali erano più vicine o lontane da noi. Non c’è una postura/attitudine “giusta”, ma prendere consapevolezza di quale postura/attitudine abbiamo in un certo momento può aprire la strada a un apprendimento o un’intuizione.

Resta molto da sperimentare online. 

Alla prossima edizione, vorrei adattare più esercizi che erano molto funzionali in presenza.

– L’esercizio della soglia. In presenza, dopo aver esplorato i “blocchi” tramite il corpo e aver preso delle nuove consapevolezze o suggerimenti dal movimento corporeo, passavamo simbolicamente una soglia, rappresentata da una linea di scotch carta, che ci faceva accedere al nostro futuro nel suo più alto potenziale (nell’espressione della Teoria U). Cosa sentivamo di lasciare andare e cosa sentivamo di portare con noi? Per alcuni partecipanti era un’esperienza simbolica significativa. Sulla soglia sistemavo sia immagini sia parole su post it. Molte persone hanno lasciato la Paura. Questo per me aveva molto senso dal momento che nel percorso a U e’ anche la fase di passaggio alla Volonta’ Aperta che richiede di lasciare proprio la Paura.

E’ stato sorprendente che qualcuno lasciasse la Solidarieta’. Qualcuno lo ha interpretato come un “errore” di comprensione, ma in realtà, questo ci ha dato la possibilità di riflettere su come l’aiuto possa diventare dipendenza e perdita di autonomia e depotenziamento. In questo senso, e’ necessario “lasciare l’aiuto” e rendersi autonomi. Questo discorso ha risuonato soprattutto nei beneficiari del “sistema di accoglienza”.

Nel secondo lab, nell’aria si sentiva una certa “euforia” nel passaggio nel futuro. Per alcuni le parole del blocco corrispondevano a quello che lasciavano e le parole dell’intuizione corrispondevano a quello che portavano con sé nel futuro.

– L’esercizio dei Prossimi passi. Ultimo esercizio della parte di storytelling,

richiedeva di costruire con scotch carta, colori e post it, il percorso da “dove sono ora” al “lavoro che vorrei fare”. Ognun@ ha disegnato con lo scotch carta sul pavimento il proprio percorso, attaccando poi i post it dei diversi step da fare. Questo passaggio ha rivelato molta creatività. Il saldatore aveva un percorso a forma di martello. Un altro percorso presentava dei rilievi (ostacoli o/e pause), un altro sembrava una freccia verso l’obiettivo, un altro ancora si divideva in due per poi ricongiungersi. Alcuni hanno fatto un percorso lineare, uno ha fatto due possibili percorsi a zig zag, uno ha rappresentato una linea piu’ lunga per arrivare al prestito in banca. 

Questo esercizio fa prendere consapevolezza, in modo creativo e visuale, di quali saranno i miei prossimi passi e si collega direttamente alla parte del portfolio ultima del progetto individualizzato.

Sorprendentemente per me, il lab online ha riportato al centro le storie come mappe di senso e significati. Sia la storia riadattata di Poder sul dono\talento, sia la storia creata ad hoc del cervo sulle difficoltà, sono state un terreno comune dove far approdare riflessioni, dove raccogliere messaggi e ricordi, dove seminare speranze e sogni. 

4 Redazione del portfolio

Abbiamo pensato a un incontro collettivo per la redazione del documento finale, inizialmente pensato come altro momento di incontro  individuale, per due ragioni: una ragione di tempistica (dedicare a ciascun@ un’altra ora almeno rischiava di farci sforare il monte ore previsto), l’altra ragione era di tipo pedagogico. Un incontro collettivo in cui ognun@ ha la responsabilità di redigere il proprio documento è un’opportunità di empowerment e crescita, pur potendo contare sulla solidarietà del gruppo e sul supporto di noi tutor. Ci ha mosso inoltre la consapevolezza che nel redigere personalmente il documento ci sarebbe stato un ulteriore passo avanti nella loro presa di coscienza delle loro storie ed esperienze e dell’emersione delle proprie competenze.

Nei due lab in presenza questa fase è stata molto proficua. Ognuno si è dedicato alla stesura delle parti del portfolio potendo contare, sulla conoscenza del contenitore/template utilizzato per l’intervista e anche sulla documentazione personale elaborata durante la fase di Storytelling.  Si è toccata con mano l’importanza del lavoro tra pari e della solidarietà, visto che il gruppo era disomogeneo, come già ricordato; i partecipanti di nazionalità italiana hanno coadiuvato il lavoro di chi era maggiormente in difficoltà. Noi facilitatrici abbiamo supportato il lavoro di tutte/i, risposto agli interrogativi, operato un collegamento tra i materiali prodotti nelle diverse fasi e soprattutto sostenuto ognun@ nei dubbi relativi ai passi successivi da compiere per profilare il progetto professionale individualizzato. 

Durante il lab online, la fase di stesura è stata altrettanto importante. I partecipanti avevano il materiale cartaceo che gli era stato procurato dall’operatrice. Abbiamo spiegato con cura che cosa stavamo iniziando a fare e che il fine che era quello di una presa di coscienza del proprio trascorso, questa volta mettendo in pratica personalmente la realizzazione del prodotto. L’aspetto negativo è stato dover coordinare la compilazione  contemporaneamente e dover evincere il punto dove ognuno era giunto, non potendo controllare agevolmente lo scritto, ma dovendoci avvalere della loro mediazione attraverso la lettura. E’ stato difficile seguirli tutti insieme, visto che nella produzione scritta emergono delle forti differenze di competenza. Per ovviare a questo abbiamo assegnato un tempo per ciascuno nel quale abbiamo potuto dedicarci solo a una coppia, per poi passare all’altra. Alcuni, viste le fragilità, non sono riusciti a concludere, ma ai fini del Portfolio finale, ci siamo comunque potute avvalere delle informazioni provenienti dalle interviste e dall’attività di Storytelling.

5 Back office

Il lavoro di back office è un lavoro di tessitura sensibile e attenta a ciò che è emerso dalle interviste, dal lab di storytelling e dalla redazione individuale del portfolio. Richiede interventi di editing a seconda ovviamente del livello di conoscenza della lingua italiana di chi ha scritto, ma in realtà, nelle parti più descrittive (“mi racconto” e “percorsi di carriera”) talvolta è stato efficace riprendere, qualora non l’avesse già fatto la persona stessa, il lavoro emerso dallo storytelling. Ad esempio, la piccola poesia frutto del processo sull’ikigai con le immagini, è diventata, a volte, l’incipit della parte “mi racconto”, in quanto in poche, concise, dense righe dava l’idea di chi era la persona, quale fosse il suo sogno per sé e il Mondo.

In questo delicato lavoro, sentiamo la responsabilità di scrivere un documento che servirà per cercare lavoro. Siamo sempre in contatto via e-mail e WA per confrontarci, ognuna legge il portfolio curato dall’altra.

Nel lab online, abbiamo svolto il lavoro di back office e compilato i portfolio in formato digitale. Sono stati inviati all’operatrice che ha provveduto a stamparli  e consegnarli a ognuno. Si è anche premurata di stampare per ognuno un attestato celebrativo, da allegare al Portfolio. 

6 Incontro finale: celebrazione e valutazione

Gli incontri finali in presenza sono stati momenti di vera gioia e celebrazione. Con l’ausilio della lavagna a fogli mobili abbiamo ripercorso le tappe del lab nella sua totalità, riportando le impressioni e le considerazioni che scaturivano da ognuno. 

Il momento più forte di sicuro è la consegna del portfolio ad ognun@. Abbiamo dato tempo per poter leggere con attenzione il documento che era stato redatto. Per tutti è stato un momento forte ed emozionante, abbiamo visto il compiacimento di ognun@, anche per partecipanti avvezzi ai CV è stato importante poter leggere nero su bianco, tutte le esperienze formative e professionali. Forte l’entusiasmo di cittadini di Paesi Terzi, poco abituati a raccontare e a raccontarsi, in possesso fino a quel momento solo di CV poveri e vuoti di tutte le informazioni che invece sono emerse in questo percorso.

I volti sorridenti sono il primo feedback positivo.

Un partecipante ha detto: “C’è scritto proprio tutto, grazie! Anche quello che non avevo detto bene, ora è con le parole giuste!”

Per dare una valutazione partecipata, Ilaria predispone un nastro a terra con una valutazione da 1 a 5, come gradienti di soddisfazione. Con il corpo, ognun@ si posiziona dove ritiene più opportuno. Tutti si posizionano nella parte più alta. E’ importante per noi capire perché si posizionano su un numero o un altro, chiediamo le motivazioni, fondamentali per noi, per capire dove intervenire e cosa migliorare.

Le cose che avrebbero fatto posizionare al 5 le persone che sono al 4: più tempo, possibilità di lavorare anche da casa o in gruppo, bibliografia, conoscenza della lingua italiana più omogenea, scoprire un nuovo aspetto di me. Le persone che si sono posizionate tra il 3 e il 4 sono le persone con un livello di istruzione più alto, che probabilmente per il loro grado di consapevolezza ed esperienza professionale, hanno ovviamente vissuto meno il “salto di consapevolezza” vissuto invece dalla maggioranza. Con il gruppo si è riflettuto su come ciascun@ fa esperienza e “ap-prende” a seconda del livello di partenza.

Nei lab in presenza, queste sono le testimonianze dei e delle partecipanti alle domande: cosa hai apprezzato maggiormente? Cosa porti con te da questo lab?

  • la valorizzazione di ciò che non era stato valorizzato (nel vissuto, nel CV)
  • l’intervista, come percorso profondo, come momento in cui “riuscire a dire, ricordare chi sono”
  • opportunità di imparare
  • poter “aprire gli occhi”
  • avere più chiarezza
  • visualizzare il percorso da fare con scotch carta e post-it
  • esercizio di passaggio dal passato al futuro
  • lavorare in gruppo
  • imparare a parlare in pubblico
  • aprirsi di più
  • preparazione per organizzarmi meglio
  • conoscenza e relazioni
  • portfolio come strumento per la ricerca del lavoro e per la vita
  • imparare a presentarsi
  • sensazioni fisiche degli esercizi con il corpo
  • sguardi diversi molto utili per affrontare una situazione da vari punti di vita
  • amicizia
  • direzione più chiara
  • leggerezza e sorriso come strumenti per affrontare nuovi percorsi nella vita
  • unicità dei percorsi di vita 
  • più ricca di vita, confidenza (fiducia in se’)
  • positività nel futuro
  • coraggio
  • believe in yourself
  • gratitudine (c’è sempre un’altra possibilità)

Emerge molto il valore della parte “intangibile” del percorso, che all’inizio era poco comprensibile per molti. Una partecipante ha detto: “prima non vedevo possibilità… tutte intorno a me dicevano che si può fare solo la badante… ora vedo con occhi nuovi…  e’ una delle cose più belle che ho fatto a Terni”.

Nel lab online l’ultimo incontro ha restituito fiducia nello sforzo che noi facilitatrici e i partecipanti hanno compiuto per portare a termine un prodotto come il Portfolio personalizzato, svoltosi in modalità online. L’incontro si è aperto con la consegna virtuale del Portfolio e la richiesta di leggerlo. Abbiamo celebrato con un Evviva! Congratulazioni! E abbiamo cercato di avere info per una valutazione tramite domande rivolte ad ognuno con l’ausilio di una presentazione Canva.

I commenti sono stati molto positivi da parte di tutti i partecipanti, hanno apprezzato il prodotto finale e abbiamo avuto l’impressione che avessero finalmente avuto consapevolezza del percorso svolto in ogni sua tappa. Questo aspetto è molto importante per la  nostra valutazione dal momento che questo gruppo, è stato invitato a partecipare dalla loro operatrice che aveva intuito che poteva essere una buona opportunità e li ha invitati a essere presenti. Nessuno di loro, in autonomia, si era avvicinato al percorso del lab. E’ stato sorprendente ascoltare alcune valutazioni positive anche da parte di alcuni che inizialmente si erano mostrati più scettici o semplicemente non avevano informazioni sufficienti per valutare.

Le cornici in cui ci inseriamo. Brevi note sulle questioni etiche e valoriali

Emergono questioni etiche e valoriali. Anche una consulenza al lavoro o un percorso sulle competenze non sono mai neutri, risentono della filosofia e visione dell’individuo e del mondo di chi conduce. 

C’e’ anche un dibattito sulle cosiddette soft skills che talvolta diventano il pretesto e la giustificazione per uno sfruttamento mistificato (ad esempio le soft skill della resilienza e della flessibilità non devono tradursi in una sopportazione illimitata di condizioni stressanti). 

Altre questioni etiche riguardano il tipo di  lavoro secondo i principi del win/win/win. 

Notiamo che si coagulano delle convinzioni di quali lavori sono più facili da trovare (magazziniere per esempio). Da dove arrivano queste informazioni? Esperienze? Sentito dire?  Quali tirocini vengono proposti dalle strutture di accoglienza? E come? 

Soprattutto, siamo consapevoli di quanto possa essere rischioso sovrapporre alla linea di confine geografica una linea di confine settoriale\professionale\lavorativo? Quanto influisce sugli stereotipi che il lavoro delle badanti sia affidato a “donne dell’Est”? Oppure che gli “africani” diventino tutti magazzinieri o braccianti?

Sulle competenze trasversali, a volte si pone la domanda: quando le spieghiamo, gliele stiamo suggerendo? Stiamo suggerendo di inserirle nel loro portfolio? Ossia, quando spieghiamo: per esempio, senti di saper lavorare in gruppo? E’ ovvio che nella maggioranza dei casi la risposta sarà: sì! Certo, a volte possiamo dedurlo dalle domande precedenti che focalizzano anche sulle relazioni a lavoro, le mansioni… ma le competenze trasversali sono davvero così non misurabili, quasi effimere eppure fondamentali. Anche nei CV italiani quante volte leggiamo descrizioni di competenze trasversali copiate e incollate, direttamente prese dai siti sulle soft skills?  

E’ bene continuare a porsi domande, a non dare nulla per scontato, a passare continuamente dalla visione del dettaglio alla visione di insieme, al fine di essere pienamente presenti, responsabili nel nostro lavoro. 

Ci auguriamo che la valorizzazione delle competenze possa non solo agevolare la ricerca di un lavoro soddisfacente ma anche seminare la consapevolezza che, come dice la storia di Poder, “ogni bambino e ogni bambina nascono con un dono…. E se non mi credete, guardatevi intorno…”

  • Share:
author avatar
Ilaria olimpico

Previous post

Sourcing embodied wisdom - A message from Débora Barrientos
October 6, 2020

Next post

Lost in Narration
November 9, 2020

You may also like

When I met Gopal
6 January, 2021

I first met Gopal in 2010, the same year I met Hector, the same year my life fell on its head…Gopal was the most unusual person to meet in Nepal, …

Theatre and Mentoring with ImaginAction
23 December, 2020

Since 2010, ImaginAction (imaginaction.org) creative director Hector Aristizábal and co-facilitator Alessia Cartoni have opened up their international social theatre workshops to apprentices from around the world. The interns are able to participate in diverse community projects, experience methodologies …

2020: it was like climbing a mountain.
12 December, 2020

Two Sundays ago, I went out for a walk. I climbed a mountain in Benalmadena, Spain, the country where I live right now. The walk was 6 kilometres in total, …

Search

Categories

  • All Events
  • Articles
  • Blog
  • ImaginAction's calendar
  • In The News
  • Interviews
  • Newsletter
  • Project updates
  • Related Events
  • Shows
  • Team introduction
  • Uncategorized
  • Workshops

Copyright © 2020 ImaginAction. All Right Reserved.

Login with your site account


Lost your password?

We use cookies on our website to give you the most relevant experience by remembering your preferences and repeat visits. By clicking “Accept”, you consent to the use of ALL the cookies.
Do not sell my personal information.
SettingsAccept
Privacy & Cookies Policy

Privacy Overview

This website uses cookies to improve your experience while you navigate through the website. Out of these cookies, the cookies that are categorized as necessary are stored on your browser as they are essential for the working of basic functionalities of the website. We also use third-party cookies that help us analyze and understand how you use this website. These cookies will be stored in your browser only with your consent. You also have the option to opt-out of these cookies. But opting out of some of these cookies may have an effect on your browsing experience.
Necessary
Always Enabled

Necessary cookies are absolutely essential for the website to function properly. This category only includes cookies that ensures basic functionalities and security features of the website. These cookies do not store any personal information.

Non-necessary

Any cookies that may not be particularly necessary for the website to function and is used specifically to collect user personal data via analytics, ads, other embedded contents are termed as non-necessary cookies. It is mandatory to procure user consent prior to running these cookies on your website.